giovedì 21 gennaio 2010

La nube di Oort


Una nube di detriti cometari avvolge il Sistema Solare. E' la "nube di Oort".
Basta poco e il bombardamento potrebbe avere inizio...


L'influenza gravitazionale del Sole si estende 3000 volte più in là, dei pianeti nani conosciuti., fino a circa metà della distanza che ci separa da Proxima Centauri (la stella più vicina conosciuta). E questo spazio non è vuoto, ma contiene un gigantesco serbatoio di comete, materiale residuo della formazione del Sistema Solare, che prende il nome di nube di Oort.

Questa regione è la Siberia del Sistema Solare,1'immensa e gelida frontiera i cui abitanti sono esiliati dal dominio del Sole e ricadono a malapena sotto la sua autorità. Le temperature tipiche a mezzogiorno sono appena di 4° sopra lo zero assoluto, e le comete sono in genere distanziate l'una dall'altra di decine di milioni di Km. Il Sole, pur essendo ancora la stella più luminosa fra quelli visibili, non appare più brillante di Venere nel cielo terrestre dopo il tramonto. Non abbiamo mai visto la nube di Oort. Ma è anche vero che nessuno ha mai visto un elettrone; ne deduciamo l'esistenza e le proprietà degli effetti fisici che osserviamo.

Nel caso della nube di Oort, questi effetti sono rappresentati dal continuo stillicidio di comete a lungo periodo e penetrano nel sistema solare interno. L'esistenza della nube di Oort è la risposta a una domanda che ci si è posta fin dall'antichità: che cosa sono le comete, i da dove vengono? Aristotele speculò nel quarto secolo a.C. che le comete fossero nubi di gas luminoso nell'alta atmosfera terrestre, mentre Seneca, nel primo secolo d.C., propose che esse fossero corpi celesti, che percorrevano il loro cammino attraverso il firmamento.

Dovettero passare 15 secoli, prima che la sua ipotesi venisse confermata dall'astronomo danese Tycho Brahe, che confrontò osservazioni della cometa del 1577 compiute in diverse località d'Europa. Se la cometa fosse stato un oggetto vicino, allora da ciascuna località di essa avrebbe avuto una posizione leggermente diversa sullo sfondo delle stelle. Brahe invece non riuscì a rilevare alcuna differenza e concluse che la cometa doveva essere più lontana della luna. Quanto lontana cominciò essere chiaro solo quando gli astronomi riuscirono a calcolare le orbite delle comete. Nel 1705 l'inglese Edmond Halley compilò un primo catalogo di 24 comete. Le osservazioni su cui si basava erano abbastanza rozze, e Halley riuscì solo a far corrispondere parabole molto approssimative alla traiettoria di ciascuna cometa. Tuttavia, sostenne che le loro orbite potessero essere ellissi allungate intorno al Sole: <>. In un certo senso, la descrizione fatta da Halley di comete circolanti in orbite che si estendevano fino alle stelle anticipava la scoperta della nube di Oort, che avvenne due secoli e mezzo più tardi. Halley notò anche che le comete del 1531, 1607 e 1682 avevano parametri orbitali molto simili e che i loro passaggi erano distanziati da intervalli di circa 76 anni. Egli suppose che queste comete apparentemente distinte fossero in realtà la stessa cometa, che tornava a intervalli regolari. Questo corpo celeste, oggi chiamato cometa di Halley, ha compiuto il suo ultimo passaggio del sistema solare interno nel 1986. Dall'epoca di Halley, gli astronomi hanno suddiviso le comete in due gruppi, a seconda della durata della loro orbita intorno al sole (che è direttamente correlata alla distanza media della cometa dal sole). Le comete di lungo periodo, come le luminose comete Hyakutake e Hale Bop apparsi di recente, hanno periodi orbitali superiori a 200 anni; le altre sono dette comete di breve periodo.




Nell'ultimo decennio gli astronomi hanno ulteriormente suddiviso in due gruppi di comete di breve periodo: quelle della famiglia di Giove, come le comete Enke e Tempel 2, con periodi inferiori a 20 anni; e quelle del periodo intermedio, o di tipo Halley, con periodi compresi tra 20 e 200 anni. Queste definizioni sono in una certa misura arbitrarie, ma riflettono differenze reali. Le comete di periodo intermedio e lungo entrano nel sistema solare interno provenendo da tutte le direzioni in maniera casuale, mentre le comete della famiglia di Giove hanno orbite il cui il piano è tipicamente inclinato di non più di 40° rispetto all'eclittica ossia il piano dell'orbita terrestre.

Le comete di periodo intermedio e lungo sembrano provenire dalla nube di Oort, mentre oggi si ritiene che quelle della famiglia di Giove abbiano origine nella fascia di Kuipier,1 regione dell'eclittica situata oltre l'orbita di Nettuno. Il cupo mondo oltre Plutone All'inizio del ventesimo secolo, erano ormai state calcolate orbite di comete di lungo periodo in numero sufficiente per studiarne la distribuzione statistica. Emerse così un problema. Circa un terzo di tutte le orbite seguite dalle comete nel loro punto di massimo avvicinamento al Sole è iperbolico; il guaio è che un'orbita iperbolica ha origine dello spazio interstellare e poi vi ritorna, al contrario delle orbite ellittiche che sono gravitazionalmente legate al Sole. Il fatto che le orbite fossero iperboliche indusse alcuni astronomi a proporre che le comete si trovassero nello spazio interstellare e venissero catturate da incontri ravvicinati con i pianeti. Per valutare questa ipotesi, si estrapolarono indietro nel tempo le orbite delle comete di lungo periodo e si scoprì che, a causa dell'attrazione gravitazionale al grande raggio esercitata dai pianeti, le orbite attuali, che giungono molto vicine al Sole, non sono quelle originarie.



Quando si presero in considerazione gli effetti dei pianeti - estrapolando abbastanza indietro nel tempo e orientando le orbite in relazione non al Sole, ma al centro di massa del sistema solare - quasi tutte le orbite risultarono ellittiche. Perciò se ne doveva concludere che le comete fossero membri del sistema solare e non vagabondi interstellari. Inoltre, sebbene due terzi di queste orbite presentassero ancora una distribuzione uniforme, ben un terzo aveva energie orbitali che ricadevano in un picco ristretto, il quale rappresentava orbite e si estendevano fino a grandissime distanze: 20.000 unità astronomiche o più (una U A è pari alla distanza Terra-Sole). E se orbita e hanno periodi superiori al milione di anni. Perché tante comete giungono da distanze così grandi? Verso la fine degli anni 40 e astronomo olandese Adrianus van Woerkom dimostrò che la distribuzione uniforme poteva essere spiegata dal fatto che le perturbazioni planetarie disperdono a caso le comete in orbite sia grandi sia piccole; ma che cosa si poteva dire dei picco di comete con periodi dell'ordine del milione di anni?
Nel 1950 un altro olandese, Jan H. Oort, già famoso per aver determinato negli anni '20 la rotazione della Via Lattea, cominciò a interessarsi al problema. Egli riconobbe che il picco deve rappresentare la fonte delle comete di lungo periodo: una vasta nube sferica e circonda il sistema dei pianeti e si estende fino alla metà della distanza dalle stelle più prossime. Oort dimostrò che le comete della nube sono così debolmente legate al Sole che persino i moti stellari possono facilmente modificarne le orbite. Ogni milione di anni una decina di stelle passa a meno di un parsec (206.000 unità astronomiche) dal Sole. Questi incontri ravvicinati sono sufficienti perturbare le orbite delle comete, rendendone casuale l'inclinazione e inviando una serie continua di questi corpi celesti nel sistema solare interno, su orbite ellittiche molto allungate.



Quando entrano per la prima volta nel Sistema Solare, le comete vengono parpagliate dai pianeti e guadagnano o perdono energia orbitale. Alcune sfuggono interamente al sistema; altre diventano periodiche e vengono osservate di nuovo come membri del gruppo di comete a distribuzione uniforme. Alcune comete apparivano ancora come provenienti dallo spazio interstellare, ma questa era probabilmente un'impressione scorretta dovuta a piccoli errori nella determinazione delle orbite. Inoltre le comete possono modificare la propria orbita perché i getti di gas e polvere e messi agiscono come piccoli motori a razzo. Queste forze non gravitazionali possono far si che le orbite appaiano iperboliche anche se sono in realtà ellittiche. Il successo di Oort nell'interpretare correttamente la distribuzione orbitale delle comete di lungo periodo è ancora più notevole quando si consideri che egli aveva a disposizione sono 19 orbite accuratamente misurate. Oggi gli astronomi possono contare su dati 15 volte più cospicui e sanno che le comete di lungo periodo che entrano per la prima volta nella regione occupata dai pianeti provengono da una distanza media di 44.000 unità astronomiche. Queste orbite hanno periodi di 3, 3 milioni di anni. Si è anche compreso che le perturbazioni stellari a volte sono tutt'altro che lievi.
Di tanto in tanto, una stella si avvicina al sole a tal punto da attraversare addirittura la nube di Oort, perturbando violentemente le orbite cometarie lungo il proprio cammino. Statisticamente ci si aspetta che una stella passi a meno di 10.000 unità astronomiche dal Sole ogni 36 milioni di anni, e a meno di 3000 unità astronomiche ogni 400 milioni di anni.
Le comete vicine alla traiettoria della stella sono scagliate nello spazio interstellare, mentre le orbite delle altre comete della nube subiscono sostanziali alterazioni. Sebbene gli incontri ravvicinati con altre stelle non abbiano conseguenze dirette sui pianeti - il massimo avvicinamento previsto da parte di un'altra stella in tutta la storia del sistema solare è di 900 unità astronomiche dal Sole - le ripercussioni indirette possono essere disastrose. Nel 1981 Jack G. Hills del Los a Alamos National Laboratory affermò che un passaggio stellare ravvicinato potrebbe inviare una pioggia di comete verso i pianeti, aumentando la frequenza degli impatti cometari e forse anche provocando un'estinzione di massa sulla Terra. Secondo una simulazione al calcolatore che eseguii nel 1985 e insieme con Piet Hut dell'Institute for Advances Study di Princeton, la sequenza dei passaggi di comete durante una simile pioggia potrebbe arrivare a 300 volte l'attuale, e il fenomeno durerebbe da due a 3 milioni di anni. Di recente Kenneth A. Farley e colleghi del California Institute of Technology hanno trovato conferma di un'antica pioggia di comete. Usando il raro isotopo elio 3 come marcatore di materiale extraterrestre, hanno misurato l'accumulo nel tempo di particelle di polvere di origine interplanetaria nei sedimenti oceanici. Si pensa che la velocità di accumulo della polvere rifletta il numero di comete che passano nel sistema solare interno (ogni cometa lascia polvere e lungo il proprio cammino). Farley ha scoperto che la velocità di accumulo è aumentata nettamente alla fine dell'Eocene - circa 36 milioni di anni fa - riducendosi poi a poco a poco nel corso di 2-3 milioni di anni, come prevedono i modelli teorici delle piogge di comete.
Nel tardo Eocene è stato identificato un modesto avvento di estinzione biologica, e diversi crateri di impatto sono stati datati a quell'epoca i geologi hanno anche rinvenuto altri marcatori di impatto in sedimenti terrestri, quali strati di iridio e microtectidi. Abbiamo utilizzato posizioni e velocità delle stelle misurate dal satellite Hypparcos per ricostruire le traiettorie stellari nei pressi del sistema solare. Abbiamo scoperto che nessuna stella è passata vicino al Sole dell'ultimo milione di anni. Il prossimo passaggio ravvicinato avverrà fra 1, 4 milioni di anni: l'astro in questione sarà una nana rossa, Gliese 710, che attraverserà la parte esterna della nube di Oort, a circa 70.000 unità astronomiche dal Sole. A quella distanza Gliese 710 potrebbe incrementare la frequenza dei passaggi cometari del sistema solare interno del 50% circa: qualche goccia quindi, non certo uno scroscio di pioggia. Oggi si sa che, oltre ai passaggi stellari casuali, vi sono altri due fattori capaci di perturbare la nube di Oort. In primo luogo, essa era abbastanza grande da risentire delle forze di marea generate dal disco della via lattea e, in misura minore, dal nucleo della Via Lattea stessa. Le maree sono dovute al fatto che il Sole e una cometa della nube si trovano a distanze leggermente differenti dal piano del disco o dal centro galattico, e quindi avvertono un'attrazione gravitazionale lievemente diversa.



Gli effetti di marea contribuiscono a spingere nuove comete di lungo periodo nella regione occupata dai pianeti. Anche le nubi molecolari giganti della galassia possono perturbare la nube di Oort, come proposto nel 1978 Ludwig Biermann del Max Plank-Institute fur Astrophysic di Monaco, in Germania. Queste immense nubi fredde di idrogeno, hanno una massa da 100.000 a un milione di volte maggiore di quella solare. Quando il sistema solare si avvicina a una di esse, le perturbazioni gravitazionali strappano le comete alle loro orbite e li scagliano nello spazio interstellare. Per quanto violenti, questi incontri sono abbastanza rari: avvengono solo una volta ogni 300-500 milioni di anni. Nel 1985 Hut e Scott D. Tremaine della Princeton di University hanno dimostrato che, nella storia il Sistema Solare, le nubi molecolari hanno avuto lo stesso effetto cumulativo di tutti i passaggi stellari.

Oggi i ricercatori che si occupano della nube di Oort cercano di chiarire ti problemi principali:
In primo luogo, qual è la sua struttura? Nel 1987 Tremaine, Martin j. Duncan della Queens di University nell'Ontario e Thomas Quinn della Washington University hanno studiato in che modo le perturbazioni stellari e quelle prodotte dalle nubi molecolari ridistribuiscano le comete all'interno della nube di Oort.
Si è visto che le comete ai margini esterni della nube vanno rapidamente perdute, migrando o nello spazio interstellare o nel sistema solare interno, a causa delle perturbazioni e più in profondità e probabilmente esiste un nocciolo relativamente e denso che ha poco a poco ripristina la popolazione e dei margini esterni.
Duncan, Queen e Tremaine hanno dimostrato anche, che, quando le comete provenienti dalla nube di Oort migrano verso il Sole, l'inclinazione delle loro orbite tende a restare immutata. Questo è uno dei motivi principali per cui gli astronomi oggi ritengono che sia la fascia di Kuiper, anziché la nube di Oort, a dare origine alle comete della famiglia di Giove, con orbite poco inclinate. Tuttavia la nube di Oort è sempre la fonte più probabile delle comete di periodo intermedio e con orbite più inclinate e quali Halley e Swift-Tuttle. Probabilmente un tempo esse erano comete di lungo periodo che sono state trasferite in orbite più brevi dalle perturbazioni planetari.

La seconda grande domanda è quante comete popolano la nube di Oort? Questo valore dipende dalla velocità con cui le comete vengono perse nello spazio interplanetario. Per giustificare il numero osservato di comete di lungo periodo, di stima che la nube contenga 6 mila miliardi di comete il che rende gli oggetti che popolano questa zona i più numerosi fra i corpi di discrete dimensioni del sistema solare. Solo 1/6 di esse si trova nella regione più esterna, dinamicamente attiva, descritta da Oort; le altre sono contenute nel nocciolo relativamente denso. Se si applica la stima più probabile della massa media di una cometa -circa 40 miliardi di tonnellate - La massa totale delle comete della nube di Oort al momento attuale sarebbe circa 40 volte quella della Terra. Infine, dove hanno avuto origini le comete della nube di Oort? Di certo non possono essersi formate nella loro posizione attuale, perché a simili distanze dal Sole la materia è troppo rarefatta per condensare. Ne possono essersi originate nello spazio interstellare: la cattura di comete da parte del Sole è molto inefficiente. L'unica possibilità rimanente è il sistema planetario. Oort suppose che le comete si siano formate nella fascia degli asteroidi e mi siano state espulse a opera dei pianeti giganti durante la formazione del sistema solare. Ma le comete sono composte in gran parte di ghiaccio e la fascia degli asteroidi è troppo calda per la loro condensazione. Un anno dopo la pubblicazione del lavoro di Oort, Gerard P. Kuiper dell'Università di Chicago ipotizzò che le comete condensassero più lontano dal Sole, fra i pianeti giganti. (La fascia di Kuiper prende il nome da lui perché egli propose che alcune comete si formassero anche al di là delle più estreme orbite planetarie). Le comete probabilmente hanno avuto origine in tutta la regione dei pianeti giganti, ma un tempo i ricercatori erano convinti che quelle vicine a Giove e a Saturno sarebbero state espulse nello spazio interstellare anziché nella nube di Oort. Urano e Nettuno, con la loro massa più piccola, non avrebbero invece scagliato molte comete su traiettorie di fuga. Ma studi dinamici più recenti gettano dubbi su questo scenario. Giove e soprattutto Saturno collocano una frazione significativa delle comete loro adiacenti nella nube di Oort. Questa percentuale è presumibilmente più piccola di quella relativa a Urano e Nettuno. Pertanto le comete della nube di Oort potrebbero venire da zone collocate a distanze molto diverse dal Sole e avere quindi un ampio intervallo di temperature di formazione. Ciò potrebbe spiegare in parte la diversità di composizione osservata. In effetti, lavori recenti effettuati da me e da Harold F. Levison del Southwest Research Institute di Boudler nel Colorado hanno dimostrato che la nube potrebbe contenere persino asteroidi provenienti dal sistema solare interno. Questi oggetti, composti soprattutto da roccia anziché ghiaccio, potrebbero costituire il 2-3 % della popolazione totale della nube di Oort. Da chiave di questa ricostruzione e la presenza dei pianeti giganti, scagliando le comete verso l'esterno, e modificano le loro orbite se queste rientrano nella regione occupata dai pianeti. Se altre stelle hanno pianeti giganti, potrebbero possedere una analoga nube di Oort. E se ciascuna stella avesse la propria nube, allora, nel corso di passaggi stellari ravvicinati, la nube di Oort delle altre stelle passerebbe attraverso quella del Sole. Anche in questo caso le collisioni tra comete devono essere rare, perché la distanza tipica fra due comete e dell'ordine dell'unità astronomica o più. Ogni sistema stellare potrebbe quindi perdere lentamente comete verso lo spazio. Queste comete interstellari dovrebbero essere facilmente riconoscibili se passassero presso il Sole, perché si avvicinerebbero a velocità molto più elevate delle comete della nube di Oort solare. Finora non sono mai state individuate comete interstellari, ma ciò non sorprende: dato che il sistema solare è un bersaglio molto piccolo nella vastità dello spazio, la probabilità che una cometa interstellare sia mai giunta a distanza osservabile è davvero bassa. Da nube di Oort è importante perché conserva un campione di materia risalente ai primordi del sistema solare. Studiando la documentazione cosmo chimica congelata nelle comete, si stanno mettendo in luce preziosi indizi sull'origine del sistema solare. Diverse missioni spaziali in fase di preparazione sveleranno questi segreti.


Celebre è lo studio degli astrofisici Matese e Withman sulla deviazione cometaria dalla nube di Oort: 
"Solo la sua presenza puo' spiegare il comportamento anomalo di decine di astri con la coda studiati negli ultimi anni" hanno concluso tre astrofisici dell' Universita' della Louisiana (John Matese, Patrick Whitman e Daniel Whitmire) al meeting dell' American Astronomical Society dedicato alle scienze planetarie per la prima volta ospitato in Italia.
Circa 300 comete conosciute si pensa provengano dal remoto serbatoio noto ormai con il nome di "Nube di Oort". In quel luogo 25 mila volte piu' distante della Terra dal Sole, un grande corpo celeste - almeno tre volte superiore a Giove - sprigiona la sua energia. L' oggetto misterioso dovrebbe essere una "nana bruna", cioe' un astro capace di emettere pochissima luce. "Data la sua lontananza - dice John Matese - i nostri telescopi non riescono a vederla. Ma la sua debole luminosita' si dovrebbe osservare con la nuova generazione di telescopi all' infrarosso che stiamo gia' progettando". [dal Corriere della Sera- 1999]

Link: 
http://it.wikipedia.org/wiki/Nube_di_Oort
http://www.quellidellavialattea.com/La_nube_di_oort.htm
http://archiviostorico.corriere.it/1999/ottobre/12/Scoperto_grande_pianeta_oscuro_deviare_co_0_9910124498.shtml
https://www.americanscientist.org/issues/pub/perturbing-the-oort-cloud



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