sabato 28 gennaio 2012

La NASA Annuncia La Scoperta Di 26 Nuovi Esopianeti




La missione Kepler della NASA ha scoperto 11 nuovi sistemi planetari che ospitano 26 nuovi esopianeti confermati. Queste scoperte raddoppiano quasi il numero dei pianeti verificati e triplicano il numero di stelle note che possiedono più di un pianeta che transita, o passa davanti, alla stella. Tali sistemi aiuteranno gli astronomi a comprendere meglio come si formano pianeti.

I pianeti scoperti orbitano vicino alle loro stelle di accoglienza e variano nel formato da 1,5 volte il raggio della Terra a un raggio più grande di quello di Giove. Quindici di essi sono in paragone al nostro Sistema Solare, posti tra la Terra e Nettuno. Ulteriori osservazioni saranno necessarie per determinare quali tra questi sono di natura rocciosa come la Terra e quali hanno invece spesse atmosfere gassose come Nettuno. I pianeti che orbitano intorno alla loro stella ospite ruotano dai sei a 143 giorni. Tutti sono più vicini alla loro stella rispetto a Venere intorno al Sole.

"Prima della missione Keplero, sapevamo che esistevano circa 500 esopianeti" ha dichiarato Doug Hudgins, scienziato del programma Keplero della NASA a Washington. "Ora, in soli due anni fissando un solo angolo di cielo, non molto più grande di un pugno, Keplero ha scoperto oltre 60 pianeti e più di altri 2.300 candidati. Questo ci dice che la nostra galassia è positivamente ricca di pianeti con svariate dimensioni e orbite differenti".

Keplero identifica i pianeti candidati misurando ripetutamente le variazioni di luminosità di oltre 150.000 stelle per rilevare quando un pianeta passa davanti alla loro stella. Il passaggio proietta una piccola ombra verso la Terra e la sonda Keplero.
"Confermare che la piccola diminuzione di luminosità della stella sia dovuta ad un pianeta richiede ulteriori osservazioni e una lunga analisi", ha detto Eric Ford, professore associato di astronomia presso l'Università della Florida e autore principale dello studio che ha confermato Keplero-23 e Keplero -24. "Abbiamo verificato questi pianeti utilizzando nuove tecniche che drammaticamente accelerato la loro scoperta".

Ognuno dei nuovi sistemi planetari confermati contengono dai 2 ai 5 pianeti ravvicinati in transito. Nel fitto sistemi planetario, l'attrazione gravitazionale dei pianeti su ogni altro fa sì che alcuni di essi accelerano e decelerano lungo le loro orbite. L'accelerazione fa sì che il periodo orbitale di ciascun pianeta cambia. Keplero rileva questo effetto misurando i cambiamenti, o le cosiddette variazioni dei tempi di transito.
I sistemi planetari con variazioni di tempo di transito possono essere verificati senza la necessità di ampie osservazioni terrestri, accelerando la conferma dei candidati pianeta. Questa tecnica di rilevamento aumenta anche la capacità di Keplero di confermare i sistemi planetari intorno alle stelle più deboli e più lontane.

"Con tempismo, proprio quando ogni pianeta transita attorno alla sua stella, Keplero ha rilevato la forza gravitazionale dei pianeti gli uni sugli altri, aggiudicandosi il caso per 10 dei sistemi planetari appena annunciati", ha dichiarato Dan Fabrycky, Hubble Fellow presso la University of California, a Santa Cruz e autore principale di un documento di conferma degli esopianeti Kepler-29, 30, 31 e 32.

Cinque dei sistemi (Keplero-25, Kepler-27, Kepler-30, Keplero e Keplero-31-33) contengono una coppia di pianeti in cui il pianeta orbita intorno alla stella interna due volte durante ogni orbita del pianeta esterno. Quattro dei sistemi (Keplero-23, Kepler-24, Keplero-28 e Kepler-32) contengono un accoppiamento in cui le orbite dei pianeti esterni orbitano due volte per ogni tre volte che il pianeta interno orbita intorno alla sua stella.

"Queste configurazioni aiutano ad amplificare le interazioni gravitazionali tra i pianeti, in modo simile a come i bambini scalciano le gambe su un'altalena al momento giusto per andare più in alto," ha detto Jason Steffen, post-dottorato presso il Fermilab Center for Particle Astrophysics a Batavia, Illinois, e autore di un articolo che conferma Kepler-25, 26, 27 e 28.

Kepler-33, una stella che è più vecchia e più massiccia del nostro Sole, ha avuto la maggior parte dei pianeti. Il sistema ospita cinque pianeti, di dimensioni variabili dagli 1,5 alle 5 volte quella della Terra. Tutti i pianeti si trovano più vicino alla loro stella di ogni pianeta rispetto al nostro Sole.
Le proprietà di una stella forniscono indizi per l'individuazione stessa del pianeta. La diminuzione di luminosità della stella e la durata di un pianeta in transito combinato con le proprietà della sua stella presente, lasciano una traccia riconoscibile.

Quando gli astronomi rilevano i candidati pianeta che esibiscono firme simili intorno alla stessa stella, la probabilità di uno qualsiasi di questi candidati pianeta di essere un falso positivo, è molto bassa.

"L'approccio utilizzato per verificare i pianeti di Keplero-33, mostra come sia abbastanza alta l'affidabilità generale", ha affermato Jack Lissauer, scienziato planetario del NASA Ames Research Center di Moffett Field, in California, e autore principale dello studio su Kepler-33.

Queste scoperte sono pubblicate in quattro diversi giornali nella Astrophysical Journal e nella Monthly Notices della Royal Astronomical Society.

Note
L'Ames Research Center di Moffett Field, in California, gestisce il sistema di Keplero da terra e le operazioni della missione scientifica con l'nalisi dei dati.

Il NASA Jet Propulsion Laboratory di Pasadena, in California, è associato nello sviluppo della missione Keplero.

La Ball Aerospace e Technologies Corp. in Boulder, Colorado, ha sviluppato il sistema di volo di Keplero e supporta le operazioni della missione con il Laboratorio di fisica atmosferica e spaziale dell'Università del Colorado a Boulder.

L'Archivio dello Space Telescope Science Institute di Baltimora, ospita e distribuisce i dati scientifici della missione Keplero. La Missione Keplero fa parte della Discovery 10 della NASA ed è stata finanziata dalla Direzione Scientifica della Missione NASA presso la sede dell'agenzia a Washington.

Per ulteriori informazioni sulla missione Keplero e per visualizzare il kit di stampa digitale, visitare http://www.nasa.gov/kepler.

Maggiori informazioni sugli esopianeti e sul programma NASA di scoperta sono disponibili sono disponibili al seguente indirizzo: http://planetquest.jpl.nasa.gov.


Traduzione a cura di Arthur McPaul

Fonte:
http://www.sciencedaily.com/releases/2012/01/120125160531.htm

Presenza Di Ghiaccio Di Acqua Anche Su Vesta?




Anche se generalmente si pensa che sia abbastanza asciutto, circa la metà del gigantesco asteroide Vesta dovrebbe essere così freddo e ricevere così poca luce del Sole che il ghiaccio d'acqua sarebbe potuto sopravvivere per miliardi di anni, secondo quanto sostenuto dai primi modelli di temperatura media globale di Vesta e dell'illuminazione dal Sole.

"Vicino al poli nord e sud, le condizioni sembrano essere favorevoli per l'esistenza di ghiaccio d'acqua sotto la superficie", dice Timothy Stubbs del NASA Goddard Space Flight Center di Greenbelt, nel Maryland, e all'Università del Maryland, Baltimore County. Stubbs e Yongli Wang del Planetario Eliofisici Goddard Institute presso l'Università del Maryland ha pubblicato i modelli nel numero di gennaio 2012 della rivista Icarus. I modelli si basano su informazioni provenienti da telescopi tra cui lo Space Telescope Hubble della NASA.

Vesta, il secondo più massiccio oggetto nella fascia degli asteroidi tra Marte e Giove, probabilmente non ha nessun numero significativo di crateri permanentemente in ombra, dove il ghiaccio d'acqua potrebbe rimanere congelato in superficie tutto il tempo, nemmeno nei circa 300 miglia di diametro ( 480-km di diametro) del cratere vicino al polo sud.

L'asteroide non è un buon candidato per l'ombreggiamento permanente perché è inclinato sul suo asse di circa 27 gradi, che è anche maggiore dell'inclinazione terrestre di circa 23 gradi. Al contrario, la luna, che ha crateri permanentemente in ombra, è inclinata di soli 1,5 gradi. Come risultato della sua inclinazione di grandi dimensioni, Vesta ha stagioni, ed ogni parte della superficie dovrebbe vedere il Sole ad un certo punto durante l'anno di Vesta.

La presenza o l'assenza di ghiaccio d'acqua su Vesta direbbe molto sulla formazione agli scienziati del piccolo mondo e sulla sua evoluzione, la sua storia di bombardamenti da comete e altri oggetti, e la sua interazione con l'ambiente spaziale. Poiché i processi simili sono comuni a molti altri corpi planetari, inclusi la Luna, Mercurio e altri asteroidi, saperne di più su questi processi ha implicazioni fondamentali per la nostra comprensione del Sistema Solare nel suo complesso.

Questo tipo di ghiaccio d'acqua è potenzialmente prezioso come una risorsa per un'ulteriore esplorazione del Sistema Solare.
Anche se le temperature su Vesta fluttua durante l'anno, il modello prevede che la temperatura media annuale vicina al nord di Vesta e al polo sud è inferiore di meno 200 gradi Fahrenheit (145 gradi Kelvin). Questa è la temperatura critica media di sotto della quale si ritiene che il ghiaccio d'acqua possa sopravvivere tra i primi 10 metri o giù di lì (pochi metri) del terreno, che si chiama regolite.

Vicino all'equatore di Vesta, però, la temperatura media annua è di circa meno 190 gradi Fahrenheit (150 gradi Kelvin), secondo i nuovi risultati. Sulla base di modelli precedenti, dovrebbe essere abbastanza alta da evitare che l'acqua rimanga a pochi metri della superficie.

Questa banda di temperatura relativamente calda si estende dall'Equatore fino a circa 27 gradi nord e sud in latitudine.
"In media, fa più freddo ai poli di Vesta che vicino all'equatore, quindi in tal senso, essi sono buoni posti per sostenere ghiaccio d'acqua", afferma Stubbs. "Ma anche la presenza della luce del Sole per lunghi periodi di tempo durante le stagioni estive, non è così buona per sostenere la permanenza del ghiaccio. Quindi, se c'è ghiaccio d'acqua in quelle regioni, può essere sepolto sotto uno strato relativamente profondo di regolite secco".

La modellazione indica anche che le caratteristiche della superficie relativamente piccola, come i crateri che misurano circa 6 miglia (10 chilometri) di diametro, potrebbero influenzare significativamente la sopravvivenza del ghiaccio d'acqua. "Il fondo di alcuni crateri potrebbe essere abbastanza freddo, in media (circa 100 kelvin), per permettere all'acqua di sopravvivere sulla superficie per gran parte dell'anno Vestano [circa 3,6 anni sulla Terra]", spiega Stubbs. "Anche se, ad un certo punto durante l'estate, la luce del Sole, avrebbe brillato abbastanza per sciogliere l'acqua e lasciare la superficie o forse redepositarsi da qualche altra parte".

Finora, basandoci sulle osservazioni di Terra, suggeriscono che la superficie di Vesta è abbastanza asciutta. Dawn sta indagando circa il ruolo dell'acqua nell'evoluzione dei pianeti studiando Vesta e Cerere, due corpi nella fascia degli asteroidi che sono considerati resti di protopianeti, (pianeti neonati la cui crescita è stata interrotta dalla formazione di quando Giove.

Dawn è alla ricerca di acqua con il rivelatore di raggi gamma e lo spettronomo a neutroni, che può identificare una ricca presenza di depositi di idrogeno che potrebbero essere associati con il ghiaccio d'acqua. La sonda è recentemente entrata in un orbita bassa che bene si adatta alla raccolta dei raggi gamma e di dati a neutroni.
"La nostra percezione di Vesta è cambiata in pochi mesi, da quando il veicolo spaziale è entrato nell'orbita a spirale più vicina alla sua superficie," dice Lucy McFadden, uno scienziato planetario del NASA Goddard e ricercatore della missione Dawn.

"I nostri nuovi punti di vista di Vesta ci raccontano i primi processi di formazione del Sistema Solare. Se siamo in grado di individuare i segni di acqua sotto la superficie, la domanda successiva sarà sapere se è molto vecchio o molto giovane".

La modellazione fatta da Stubbs e Wang, ad esempio, si basa sulle informazioni di Vesta, prima di Dawn, un insieme di immagini scattate dal telescopio spaziale Hubble della NASA nel 1994 e nel 1996. Ora, Dawn e la sua macchina fotografica offrono una visione molto più dettagliata di Vesta.

"La missione Dawn fornisce ai ricercatori una rara opportunità di osservare Vesta per un lungo periodo di tempo, l'equivalente di circa una stagione", afferma Stubbs. "Sapremo nei prossimi mesi se lo spettrometro GRAND troverà prove di ghiaccio d'acqua nella regolite di Vesta. Questo è un momento importante ed emozionante per l'esplorazione planetaria".

Traduzione a cura di Arthur McPaul

Fonte:
http://www.sciencedaily.com/releases/2012/01/120125160531.htm

giovedì 26 gennaio 2012

Il Sole Puó Essere Più Tempestoso




Il Sole si sta lentamente risvegliando dal sonno profondo in cui era caduto circa 3 anni fa. Superata la fase di minimo dell’attività solare, avvenuta attorno alla fine del 2008, l’anno appena trascorso ha visto una rapida ripresa dei brillamenti solari e delle tempeste solari ad essi associati.

La vita sulla Terra è protetta dalla presenza del campo magnetico terrestre, la magnetosfera, che deflette le particelle ad alta energia provenienti dal Sole, ma gli effetti di una tempesta solare possono comunque farsi sentire, per esempio danneggiando i satelliti per le telecomunicazioni o inducendo correnti sugli elettrodotti che possono provocare black-out anche di intere regioni. Proprio alcuni giorni fa, il 19 gennaio, una regione attiva sul Sole ha scatenato due esplosioni in rapida successione, che hanno inviato due nubi di plasma dirette verso la Terra.

L’onda d’urto associata all’evento ha raggiunto la Terra circa 3 giorni dopo, ma le due nubi in realtà hanno preso la Terra “di striscio”, per così dire, quindi la tempesta geomagnetica associata è stata relativamente debole. Un evento diretto più verso Terra si è verificato poi il 23 gennaio, seguito da un bombardamento di particelle ad alta energia che dal 24 stanno colpendo la magnetosfera terrestre provocando un’altra tempesta geomagnetica di debole intensità e soprattutto spettacolari aurore polari.

Sappiamo che il Sole è in grado di provocare tempeste solari di intensità ben maggiori di queste. Ma cosa possiamo aspettarci nel prossimo futuro? Difficile da dirsi, perché la ripresa dell’attività solare segue un andamento veramente molto irregolare. Gli ultimi anni hanno chiaramente dimostrato che le nostre conoscenze attuali sul ciclo solare non sono sufficiente per permetterci di prevedere in modo attendibile l’evoluzione dei prossimi anni. Nel 2007 infatti, ossia ancora nella fase discendente del precedente ciclo solare (il n°23), il NOAA (National Oceanic & Atmospheric Administration) prevedeva che il massimo del ciclo successivo (il n°24) sarebbe stato di intensità superiore alla media e che si sarebbe verificato attorno al dicembre del 2012.

Da qui l’allarme lanciato dai media di tutto il mondo per una possibile “super-tempesta solare” che avrebbe causato chissà quali catastrofi, per l’appunto in accordo con chi crede nella famosa predizione dei Maya della fine del mondo nel dicembre del 2012. Ma il sole ha dimostrato di non essere molto interessato alle predizioni dei Maya: la fase di discesa del ciclo 23 è durata infatti molto più del previsto, e di conseguenza le previsioni fornite dal NOAA, basate sui dati raccolti ogni giorno, hanno dovuto “riadattarsi”, spostando sempre più in là nel tempo la data in cui si prevedeva il massimo del ciclo 24. Il risultato?

Secondo le previsioni più recenti non solo il prossimo massimo del ciclo solare si verificherà non prima del febbraio del 2013, ma probabilmente sarà anche il massimo meno intenso degli ultimi 80 anni! Con buona pace dei catastrofisti del 2012.

Alessandro Bemporad

Fonte:
http://www.media.inaf.it/2012/01/26/il-sole-puo-essere-piu-tempestoso/

La Galassia Invisibile




Una città fantasma alla periferia del cosmo. Trabocca di materia, ma è avvolta nelle tenebre: le luci, se mai ci sono state, sono tutte spente. Così appare, sotto la lente d’ingrandimento gravitazionale, la galassia nana nella quale s’è imbattuto un team di astronomi guidato da Simona Vegetti, 32 anni ancora da compiere, ricercatrice post-doc al Dipartimento di fisica del MIT, il Massachusetts Institute of Technology.

Per individuarla sono stati necessari due strumenti, uno costruito dall’uomo e l’altro messo a disposizione dalla natura. Quello artificiale è l’occhio del telescopio Keck, alle Hawaii, la cui già invidiabile vista è stata resa ancor più acuta dall’ottica adattiva, in grado di annullare le distorsioni introdotte dalla turbolenza atmosferica. E quello naturale è l’anello di Einstein JVAS B19381+666, un sistema di lenti gravitazionali dal diametro d’un secondo d’arco scoperto negli anni Novanta.

Quello che Vegetti e colleghi hanno visto, se di vista si può parlare per un oggetto completamente buio, è una galassia satellite con una massa equivalente a circa 200 milioni di volte il nostro Sole. Ma lassù, di stelle, non c’è nemmeno l’ombra. Non solo: sembrano mancare all’appello anche le polveri, i gas e più in generale tutta quella materia ordinaria che conosciamo. L’ingrediente prevalente, se non l’unico, pare essere la sostanza enigmatica che costituisce circa un quarto di tutto il nostro universo: la materia oscura. Per capire un po’ meglio la portata di questa scoperta, Media INAF ha raggiunto Simona Vegetti nel suo ufficio di Cambridge, nel Massachusetts.

Una galassia di materia oscura è un caso unico, o se ne conoscono altre?

«La galassia appare scura nel senso che a quella distanza, e con i telescopi attuali, non siamo in grado di osservarne le stelle ed il gas. Non abbiamo infatti osservato questa galassia direttamente, ma misurando l’effetto gravitazionale della sua massa. Anche se al momento non possiamo dire con certezza se questa galassia contenga o meno qualche stella, le proprietà che abbiamo misurato ci dicono che deve comunque essere fatta per lo più di materia oscura. Più di quanto accade per una galassia come la Via Lattea. Circa un anno fa abbiamo scoperto un’altra galassia simile, ma più vicina e più massiccia. Queste sono le uniche galassie satellite dominate da materia oscura al di fuori della Via Lattea e al di fuori di Andromeda al momento conosciute».

E quante ne potrebbero esistere?

«Si pensa che la Via Lattea debba avere migliaia di piccole galassie satellite. Fino a ora, però, se ne sono osservate soltanto una trentina. Questo è un problema serio, e relativamente annoso, per le attuali teorie sulla formazione delle galassie. Una soluzione che consenta, allo stesso tempo, di salvare queste teorie è quella di assumere che le galassie satellite mancanti siano fatte solo di materia oscura, o che non contengano abbastanza gas e stelle per poter essere osservate con la strumentazione attuale: in pratica, significa ammettere che i satelliti esistono, ma non possiamo vederli. Una soluzione alternativa è quella d’ipotizzare l’inesistenza dei satelliti, ma implicherebbe modifiche alle proprietà della materia oscura, assumendola per esempio più calda di quanto non si ritenga ora».

Fra le due, quale le sembra più interessante?

«Al momento la prima soluzione è quella preferita dalla maggior parte degli astronomi, soprattutto perché le attuali teorie sulla formazione delle galassie, pur presentando qualche problema, sono in grado di spiegare la maggior parte delle proprietà osservate delle galassie e dell’Universo in generale. Ulteriori osservazioni come la nostra, ma anche di altro tipo, sono necessarie prima di poter dire che tali teorie siano davvero inadeguate. Personalmente, non ho una preferenza per una o l’altra soluzione. Certo, se le attuali teorie risultassero parzialmente non corrette, si aprirebbe un periodo interessante per l’astronomia, durante il quale nuove teorie dovrebbero essere formulate e testate».

Sentiamo spesso parlare di materia oscura fredda. Lei stessa, poco fa, accennava alla possibilità che sia più calda di quanto non si pensi. Ma fredda o calda a che punto? Qual è la temperatura della materia oscura?

«La temperatura della materia oscura si potrà misurare direttamente soltanto quando sapremo di quali particelle è fatta veramente. Al momento, possiamo basarci su osservazioni astronomiche per individuare un intervallo di temperatura entro cui la materia oscura dovrebbe trovarsi, dal quale possiamo poi dedurre il tipo di particella di cui è fatta. Al momento, si pensa che la materia oscura sia fredda: cioè, con una temperatura tra 0.5 e 2.0 KeV. Essenzialmente, la materia oscura deve essere abbastanza fredda da spiegare l’esistenza delle galassie più massicce e degli ammassi di galassie. Se in futuro scopriremo, per esempio con osservazioni come la nostra, che non esistono galassie con una massa più piccola di un certo valore, allora la materia oscura dovrà essere abbastanza calda perché questi oggetti non si formino. La massa della nostra galassia è al limite di quello che ci si aspetterebbe se la materia oscura fosse fredda, ma altri satelliti di questo tipo dovranno essere scoperti prima di poter confermare questa conclusione».

Che emozione si prova, a individuare un oggetto che per definizione non si può vedere?

«Dopo tanto lavoro, ottenere un risultato di rilievo come questo è sicuramente molto gratificante. È stata una bella sorpresa, non ci aspettavamo di poter trovare una galassia così piccola a questa distanza».

A proposito, ha già un nome, la vostra galassia oscura? O avete già idea di come battezzarla?

«Ho sempre pensato che fosse un po’ egocentrico dare nome agli oggetti che si scoprono. Credo mi piaccia lasciarla così, senza nome».

Pubblicare su Nature a nemmeno 32 anni non è da tutti. Qual è il segreto?

«In realtà, rispetto ai colleghi che vengono da paesi, tipo il Regno Unito, dove l’iter scolastico è più breve, non sono poi così giovane. E pubblicare su Nature credo sia una bella soddisfazione a tutte le età. Non penso esista una ricetta segreta: per me è stato importante lavorare e avere il supporto di persone che stimo, persone che posso definire amici oltre che colleghi, e la passione per questo lavoro. Spesso la ricerca può essere difficile e frustrante: l’importante è non farsi scoraggiare dalle difficoltà».

E prima d’arrivare negli Stati Uniti? Dov’è iniziata la sua carriera d’astronoma?

«Ho studiato al Liceo Linguistico di Aosta. Verso la fine del liceo ho capito che la mia vera passione non erano le lingue, ma la fisica. Così mi sono iscritta alla facoltà di fisica a Torino, dove mi sono laureata nel 2005. Mi sono poi trasferita per un dottorato in Olanda, all’Università di Groningen. Ho lasciato l’Italia soprattutto perché avevo voglia di fare un’esperienza all’estero. E sono molto contenta della mia scelta. Sia l’Olanda che gli Stati Uniti investono molto nella ricerca, e questo mi ha dato molte opportunità dal punto di vista professionale».

Fonte:
http://www.media.inaf.it/2012/01/24/mimas-fa-capolino-dietro-dione/

Mimas Fa Capolino Dietro Dione




Una delle lune di Saturno, Mimas, fa capolino da dietro la luna Dione, che appare più grande. È questa l’immagine che ci regala la sonda Cassini e catturata lo scorso 12 dicembre, durante il flyby di Dione.

Dione, con il suo diametro di 1.123 chilometri, domina la vista sul lato destro dell’immagine. Più piccolo appare Mimas, sulla sinistra. Misura infatti 396 chilometri.

L’immagine è stata scattata in luce visibile dall sonda Cassini con una fotocamera ad angolo stretto. L’immagine è stata ottenuta da una distanza di circa 94000 km da Dione e 611000 km da Mimas.

La missione Cassini-Huygens è un progetto di cooperazione della NASA, l’Agenzia Spaziale Europea e l’Agenzia Spaziale Italiana.

Mimas venne scoperto nel 1789 dall’astronomo tedesco William Herschel. Il satellite deve il suo nome al personaggio di Mimas (Mimante), figlio di Gea secondo la mitologia greca; il nome Mimas era anche il nome del monte sul quale il filosofo Anassagora andava a stare in osservazione del cielo.

Dione è la dodicesima luna di Saturno, scoperta da Giovanni Cassini nel 1684 e prende il nome dalla titeide Dione che, secondo Omero, nella mitologia greca sposò Zeus da cui ebbe la figlia Afrodite.

Fonte:
http://www.media.inaf.it/2012/01/24/mimas-fa-capolino-dietro-dione/

L.Elica Vista In Nuovi Colori




Il telescopio VISTA dell'ESO, all'Osservatorio del Paranal in Cile, ha ottenuto una nuova suggestiva immagine della Nebulosa Elica (Helix in inglese). Questa fotografia in infrarosso mostra filamenti di gas freddo della nebulosa che sono invece invisibili nelle immagini riprese in luce visibile e mette in evidenza un ricco sfondo di stelle e galassie.

La Nebulosa Elica è uno dei più vicini e più straordinari esempi di nebulosa planetaria [1]. Si trova nella costellazione dell'Acquario, a circa 700 anni luce dalla Terra. Questi strani oggetti si formano quando una stella simile al Sole, negli ultimi stadi di vita, non è più in grado di trattenere i suoi strati esterni. La stella, il minuscolo punto blu visibile al centro dell'immagine, lentamente si spoglia degli involucri di gas che a mano a mano formano la nebulosa e quindi diventerà una nana bianca.

La nebulosa stessa è un oggetto complesso composto di polvere, materiale ionizzato e gas molecolare, disposti a formare un disegno bello e intricato, simile a un fiore, incandescente a causa del fiero bagliore della luce ultravioletta prodotta dalla stella al centro, molto calda.

L'anello principale della nebulosa Elica misura circa due anni luce, approssimativamente la metà della distanza tra il Sole e la stella più vicina. Il materiale della nebulosa in realtà si estende fino almeno a quattro anni luce dalla stella. Questo è particolarmente evidente in questa visione all'infrarosso, poichè l'emissione rossastra del gas molecolare è visibile in gran parte dell'immagine.

Molto difficile da vedere nella banda ottica, il bagliore di questo tenue gas viene facilmente catturato dai rivelatori speciali di VISTA, sensibili alla luce infrarossa. Questo telescopio da 4,1 metri di diametro è anche in grado di rivelare un numero impressionante di stelle e galassie sullo sfondo.

Lo sguardo penetrante del telescopio VISTA dell'ESO rivela anche l'elegante struttura degli anelli della nebulosa. La luce infrarossa riesce a mettere in evidenza come si è disposto il gas molecolare. La materia si raccoglie in filamenti che emanano dal centro e l'intera struttura ricorda una pirotecnia celeste.

Anche se sembrano minuscoli, questi filamenti di idrogeno molecolare, noti come "nodi cometari" ('cometary knots' in inglese), hanno le dimensioni del nostro Sistema Solare. Le molecole in esse contenute possono sopravvivere alla radiazione di alta energia che emana dalla stella morente proprio perchè si condensano in questi "nodi", che a loro volta vengono schermati dalla polvere e dal gas molecolare. Non è ancora chiaro come queste strutture si siano formate.

Note
Il testo originale in inglese è stato modificato il 18 gennaio 2012 per correggere alcune inesattezze.

[1] Le nebulose planetarie non hanno alcuna relazione con i pianeti. Il nome, che può generare confusione, deriva dal fatto che molte di esse, osservate nella banda ottica, mostrano dei dischi brillanti e ricordano i pianeti esterni del Sistema Solare, come Urano e Nettuno. La Nebulosa Elica, che è anche catalogata come NGC 7293, è in questo senso insolita poichè appare, attraverso un piccolo telescopio, molto grande ma anche molto debole.

Ulteriori Informazioni
Nel 2012 cade il 50o anniversario della fondazione dell'ESO (European Southern Observatory, o Osservatorio Australe Europeo). L'ESO è la principale organizzazione intergovernativa di Astronomia in Europa e l'osservatorio astronomico più produttivo al mondo. È sostenuto da 15 paesi: Austria, Belgio, Brasile, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia, Olanda, Portogallo, Repubblica Ceca, Spagna, Svezia, e Svizzera. L'ESO svolge un ambizioso programma che si concentra sulla progettazione, costruzione e gestione di potenti strumenti astronomici da terra che consentano agli astronomi di realizzare importanti scoperte scientifiche. L'ESO ha anche un ruolo di punta nel promuovere e organizzare la cooperazione nella ricerca astronomica. L'ESO gestisce tre siti osservativi unici al mondo in Cile: La Silla, Paranal e Chajnantor. Sul Paranal, l'ESO gestisce il Very Large Telescope, osservatorio astronomico d'avanguardia nella banda visibile e due telescopi per survey. VISTA, il più grande telescopio per survey al mondo, lavora nella banda infrarossa mentre il VST (VLT Survey Telescope) è il più grande telescopio progettato appositamente per produrre survey del cielo in luce visibile. L'ESO è il partner europeo di un telescopio astronomico di concetto rivoluzionario, ALMA, il più grande progetto astronomico esistente. L'ESO al momento sta progettando l'European Extremely Large Telescope o E-ELT (significa Telescopio Europeo Estremamente Grande), della classe dei 40 metri, che opera nell'ottico e infrarosso vicino e che diventerà "il più grande occhio del mondo rivolto al cielo".

Fonte:
http://www.eso.org/public/italy/news/eso1205/

mercoledì 25 gennaio 2012

La Spettacolare Formazione Stellare Interrotta Dai Buchi Neri




Utilizzando il telescopio APEX, un gruppo di astronomi ha scoperto il legame finora più forte tra le esplosioni di formazione stellare nei primordi dell'Universo e le galassie più massicce dei giorni nostri. Le galassie, che all'inizio dell Universo producevano incredibili quantità di stelle, hanno visto la nascita di nuove stelle scemare improvvisamente divenendo così galassie massicce -- ma passive -- con le stelle che sono a mano a mano invecchiate fino ai giorni nostri. Gli astronomi pensano anche di aver individuato un possibile colpevole per la fine improvvisa della produzione stellare: l'emergere dei buchi neri supermassicci.

Gli astronomi hanno combinato le osservazioni della camera LABOCA sul telesocopio APEX (Atacama Pathfinder Experiment) di 12 metri operato dall'ESO [1] con misure effettuate dal VLT (Very Large Telescope) dell'ESO, dal telescopio spaziale Spitzer della NASA e da altri strumenti per scoprire come galassie brillanti e lontane si riuniscano in gruppi o ammassi.

Più le galassie sono vicine tra loro ("clustering" in inglese) e maggiore è la massa degli aloni di materia oscura -- quella materia invisibile che rappresenta la gran parte della massa di una galassia -- che le ospitano. I nuovi risultati sono le misure più accurate del "clustering" mai eseguite per questo tipo di galassie.

Le galassie sono così distanti che la loro luce ha impiegato circa 10 miliardi di anni a raggiungerci e perciò ci appiano com'erano circa 10 miliardi di anni fa [2]. In queste istantanee dell'Universo primordiale le galassie sperimentano la più intensa fase di formazione stellare nota, che va sotto il nome di "starburst" o esplosione stellare.

Misurando la massa degli aloni di materia oscura intorno alle galassie e usando simulazioni numeriche per studiarne la crescita nel tempo, gli astronomi hanno scoperto che queste lontane galassie "starburst" dei primordi sono alla fine diventate galassie ellittiche giganti, le galassie più massicce dell'Universo odierno.

"Questa è la prima volta in cui siamo in grado di mostrare chiaramente questo legame tra le galassie con la più energetica formazione stellare nel primo Universo e le galassie massicce dei nostri giorni", spiega Ryan Hickox (Dartmouth College, USA e Durham University, UK), lo scienziato a capo dell'equipe.

Inoltre le nuove osservazioni indicano che la fase di formazione stellare più intensa in queste galassie lontane dura appena 100 milioni di anni — un tempo molto breve in termini cosmologici — eppure in questo breve arco di tempo esse riescono a raddoppiare la quantità di stelle. La fine improvvisa di questa rapida crescita costituisce un altro episodio della stoira delle galassie non ancora chiaro agli astronomi.

"Sappiamo che le galassie ellittiche massicce hanno smesso di produrre stelle in modo abbastanza improvviso molto tempo fa e ora mostrano solo un'evoluzione passiva. Gli scienziati si chiedono cosa sia sufficientemente potente da spegnere la formazione stellare in un'intera galassia", dice Julie Wardlow (University of California at Irvine, USA e Durham University, UK), un'altra componente dell'equipe.

I risultati di questa equipe forniscono una possibile spiegazione: in quel momento della storia del cosmo, le galassie "starburst" erano raggruppate in modo molto simile ai quasar, mostrando che le une abitavano lo stesso tipo di aloni di materia oscura degli altri. I quasar sono tra gli oggetti più potenti dell'Universo — fari galattici che emettono radiazione molto intensa alimentata da un buco nero supermassiccio al centro.

Le prove si accumulano a suggerire che la formazione stellare intensa finisca anche con l'alimentare i quasar fornendo enormi quantità di materia come carburante per il buco nero. Il quasar a sua volta emette poderosi fasci di energia che potrebbero spazzare via il gas residuo nella galassia — la materia prima per le nuove stelle — e questo pone efficacemente termine alla fase di formazione stellare.

"In breve, i giorni di gloria di intensa formazione stellare delle galassie segnano anche la loro fine, alimentando il gigantesco buco nero al loro centro, che rapidamente poi spazza via o distrugge le nubi in cui si formano le stelle", spiega David Alexander (Durham University, UK), un membro dell'equipe.

Note
[1] Il telescopio APEX da 12 metri di diametro si trova sulla piana di Chajnantor, sulle Ande cilene. APEX è un precursone di ALMA, l'Atacama Large Millimeter/submillimeter Array, un nuovo telescopio rivoluzionario, sempre sulla piana di Chajnantor, che l'ESO, insieme ai suoi partner internazionali, sta costruendo e gestirà. APEX è costituito da una singola antenna, prototipo di quelle di ALMA. I due telescopi sono tra loro complementari: ad esempio APEX può individuare in ampie zone di cielo molte sorgenti che ALMA potrà poi studiare in dettaglio. APEX è una collaborazione tra il Max Planck Institute for Radio Astronomy (MPIfR), l'Onsala Space Observatory (OSO) e l'ESO.

[2] Queste galassie lontane sono note come galassie submillimetriche. Sono galassie dell'Universo primordiale, molto brillanti, in cui sta avvenendo una intensa formazione stellare. A causa dell'estrema distanza, la luce infrarossa prodotta dai grani di polvere scaldati dalla radiazione stellare viene spostata verso il rosso, a lunghezze d'onda maggiori e perciò le galassie con polvere sono oservate più agevolmente nella banda di lunghezza d'onda submillimetrica.

Ulteriori Informazioni
Questo lavoro è stato presentato in un articolo presentato il 26 gennaio 2012 dalla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society.

L'equipe è composta da Ryan C. Hickox (Dartmouth College, Hanover, USA; Department of Physics, Durham University (DU); STFC Postdoctoral Fellow, UK), J. L. Wardlow (Department of Physics & Astronomy, University of California at Irvine, USA; Department of Physics, DU, UK), Ian Smail (Institute for Computational Cosmology, DU, UK), A. D. Myers (Department of Physics and Astronomy, University of Wyoming, USA), D. M. Alexander (Department of Physics, DU, UK), A. M. Swinbank (Institute for Computational Cosmology, DU, UK), A. L. R. Danielson (Institute for Computational Cosmology, DU, UK), J. P. Stott (Department of Physics, DU, UK), S. C. Chapman (Institute of Astronomy, Cambridge, UK), K. E. K. Coppin (Department of Physics, McGill University, Canada), J. S. Dunlop (Institute for Astronomy, University of Edinburgh, UK), E. Gawiser (Department of Physics and Astronomy, The State University of New Jersey, USA), D. Lutz (Max-Planck-Institut für extraterrestrische Physik, Germania), P. van der Werf (Leiden Observatory, Leiden University, Olanda), A. Weiß (Max-Planck-Institut für Radioastronomie, Germania).

Nel 2012 cade il 50o anniversario della fondazione dell'ESO (European Southern Observatory, o Osservatorio Australe Europeo). L'ESO è la principale organizzazione intergovernativa di Astronomia in Europa e l'osservatorio astronomico più produttivo al mondo. È sostenuto da 15 paesi: Austria, Belgio, Brasile, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia, Olanda, Portogallo, Repubblica Ceca, Spagna, Svezia, e Svizzera. L'ESO svolge un ambizioso programma che si concentra sulla progettazione, costruzione e gestione di potenti strumenti astronomici da terra che consentano agli astronomi di realizzare importanti scoperte scientifiche. L'ESO ha anche un ruolo di punta nel promuovere e organizzare la cooperazione nella ricerca astronomica. L'ESO gestisce tre siti osservativi unici al mondo in Cile: La Silla, Paranal e Chajnantor. Sul Paranal, l'ESO gestisce il Very Large Telescope, osservatorio astronomico d'avanguardia nella banda visibile e due telescopi per survey. VISTA, il più grande telescopio per survey al mondo, lavora nella banda infrarossa mentre il VST (VLT Survey Telescope) è il più grande telescopio progettato appositamente per produrre survey del cielo in luce visibile. L'ESO è il partner europeo di un telescopio astronomico di concetto rivoluzionario, ALMA, il più grande progetto astronomico esistente. L'ESO al momento sta progettando l'European Extremely Large Telescope o E-ELT (significa Telescopio Europeo Estremamente Grande), della classe dei 40 metri, che opera nell'ottico e infrarosso vicino e che diventerà "il più grande occhio del mondo rivolto al cielo".

ALMA, l'Atacama Large Millimeter/submillimeter Array, una struttura osservativa astronomica internazionale, è costruita in partnership tra Europa, Nord America e Asia Orientale in cooperazione con la Repubblica del Cile. La costruzione e la gestione di ALMA sono condotte dall'ESO per conto dell'Europa, dall'NRAO (National Radio Astronomy Observatory) per conto del Nord America e dal NAOJ (National Astronomical Observatory of Japan) per conto dell'Asia Orientale. Il JAO (Joint ALMA Observatory) garantisce una guida e gestione unica alla costruzione, alla verifica e alla gestione di ALMA.


Fonte:
http://www.eso.org/public/italy/news/eso1206/

Campi Magnetici "Seminati" Con Il Laser




Poi dicono che l’universo, in laboratorio, non lo puoi ricreare. Be’, qui ci sono andati vicino. Volevano studiare i processi che si nascondono dietro alla formazione dei campi magnetici galattici. Il modello comunemente accettato prevede che si siano sviluppati per amplificazione, tramite processi dinamo e/o turbolenti, d’una sorta di piccoli “semi” presenti nell’universo primordiale. Fino ad arrivare alle dimensioni su larga scala oggi osservabili: i campi magnetici delle galassie, appunto.

Ma come metterlo alla prova, questo modello? Non soddisfatti dalle simulazioni, troppo dispendiose in termini di potenza di calcolo a causa della complessità e della non linearità dei fenomeni coinvolti, alcuni ricercatori hanno deciso di tornare all’approccio sperimentale. Tentando dunque di ricreare, seppur in miniatura, i “semi magnetici” iniziali postulati dal modello. Un po’ come nel famoso esperimento di Miller-Urey, quello condotto negli anni Cinquanta per mostrare come sia possibile produrre sostanze organiche a partire da un brodo primordiale di molecole più semplici. Ma se allora, per simulare i fulmini, fu sufficiente qualche scarica elettrica, in quest’occasione, per scolpire nel carbonio i semi dei campi magnetici, si è dovuto far ricorso alle maniere forti.

«Abbiamo condotto questi esperimenti presso il laboratorio LULI (Laboratoire pour l’Utilisation des Lasers Intenses), a Parigi, dove abbiamo usato laser molto potenti per generare onde d’urto non simmetriche. Onde d’urto simili a quelle che si hanno durante la formazione delle strutture nelle fasi iniziali dell’universo», spiega Gianluca Gregori, dell’Università di Oxford, primo autore dell’articolo appena pubblicato su Nature.

I laser presenti in facility come quella del LULI, o presso il Lawrence Livermore National Laboratory, sono i più potenti al mondo, progettati per innescare reazioni di fusione termonucleare, come quelle che avvengono nel Sole. Il team guidato da Gregori, invece, li ha usati per riscaldare carbonio a temperature molto elevate, nell’ordine di un centinaio di elettronvolt (dunque, circa un milione di gradi): temperature sufficienti a generare, attraverso l’espansione, un’onda d’urto asimmetrica. E quindi a produrre su piccola scala, tramite un effetto noto come “Biermann battery“, minuscoli semi di campi magnetici.

«Ciò che siamo riusciti così a dimostrare», continua Gregori, «è che uno dei processi considerati plausibili per la formazione dei campi magnetici nell’universo primordiale è compatibile con i dati nel nostro esperimento. Un risultato, dunque, che mostra quanto i metodi numerici utilizzati attualmente siano validi. Al tempo stesso, introduce un nuovo tipo di ricerca: in cui non c’è soltanto il computer, per rispondere a domande di interesse astrofisico, ma si può anche fare ricorso a veri e propri esperimenti».

A cura di Marco Malaspina

Foto in alto
A sinistra, l'onda d'urto prodotta da un laser. A destra, invece, la simulazione al calcolatore di un'onda d’urto della fase pre-galattica. Crediti: per la misurazione dell’onda d’urto, A. Ravasio (LULI), A. Pelka (LULI), J. Meinecke (Oxford) e C. Murphy (Oxford); per la simulazione numerica, F. Miniati (ETH))

Fonte:
http://www.media.inaf.it/2012/01/25/semi-campi-magnetici/

Nuovi Indizi Sulle Origini Della Vita Sulla Terra




Gli scienziati presso l'Università di York hanno fatto un significativo passo avanti verso la creazione dell'origine dei carboidrati (zuccheri) che formano i mattoni della vita.

Un team guidato dal dottor Paul Clarke presso il Dipartimento di Chimica presso York ha ri-creato un processo che potrebbe essersi verificato nel mondo prebiotico.

Lavorando con i colleghi dell'Università di Nottingham, hanno fatto il primo passo verso la dimostrazione di come gli zuccheri semplici, il threose e l'erythrose, si sono sviluppati. La ricerca è stata pubblicata su Chimica Organica e Biomolecolare.

Tutte le molecole biologiche hanno una capacità di esistere come forme mancine o destrorse. Tutti gli zuccheri in biologia sono costituiti sotto forma di molecole a destra e tutti gli aminoacidi che compongono i peptidi e le proteine ​in forma mancina.

I ricercatori hanno utilizzato semplici aminoacidi mancini per catalizzare la formazione di zuccheri, il cui processo ha portato alla produzione prevalentemente destrorsa di zuccheri. Ció potrebbe spiegare come hanno origine i carboidrati e perché la i destrorsi dominano in natura.

Il dr. Clarke ha dichiarato: "Ci sono un sacco di domande fondamentali sulle origini della vita e molte persone pensano che siano domande di biologia, ma per comprendere come tutta la vita si è evoluta, è necessario che le cose non vive diventino vita.

Stiamo quindi cercando di capire le origini chimiche della vita. Una delle domande interessanti è capire da dove provengono i carboidrati e perché sono i mattoni del DNA e dell'RNA. Capire cosa abbiamo realizzato è il primo passo per mostrare come gli zuccheri semplici, il threose e l'erythrose, sono stati originati.

Abbiamo generato questi zuccheri da una serie molto semplice di materiali che la maggior parte degli scienziati ritengono essere vicini al momento in cui inizia la vita".

Traduzione a cura di Arthur McPaul

Foto in alto
Modello della molecola del glucosio (Credit: iStockphoto/Jeffrey Rasmussen)

Fonte:
http://www.sciencedaily.com/releases/2012/01/120124092930.htm

Lo Splendido Mosaico




Questa enorme sezione della Via Lattea è un mosaico di immagini del NASA Wide Infrared Survey Explorer (WISE).

Nella foto sono presenti le costellazioni di Cassiopea e Cefeo in una distesa di 1.000 gradi. Queste costellazioni, dal nome di una antica regina antica e re d'Etiopia della mitologia greca, sono visibili nel cielo del nord ogni notte dell'anno, dalla maggior parte degli Stati Uniti.

Ad occhio nudo, Cassiopea è facilmente riconoscibile per le cinque stelle luminose che compongono la sua forma a "W". Tuttavia, WISE le ha osservate nella luce infrarossa, dove il cielo assume un aspetto molto diverso.

Le stelle luminose nel dimenticatoio dello sfondo di milioni di altre stelle sono state tuttavia rivelate da WISE. Le nuvole di polvere fredda che riempiono lo spazio tra le stelle della Via Lattea sono state scandagliate nel bagliore della luce a infrarossi per dirci come esse nascono e come muoiono.

All'interno di questa immagine ci sono decine di dense nubi, chiamate nebulose. Molte delle nebulose viste qui, sono luoghi dove si formano nuove stelle, creando bolle come le strutture che possono essere a decine o a centinaia di anni luce di distanza. Il processo di formazione delle stelle all'interno di queste nubi giganti è stata paragonata ai fuochi d'artificio, per celebrare la nascita di nuove generazioni di stelle. Ma la morte delle stelle è vista anche in ciò che resta dell'esplosione di una supernova come è stato testimoniato dall'astronomo Tycho Brahe nel 1572 dC.

Questo residuo si trova a circa 1/5 del modo in cui da sinistra di centro e circa 1/6th della salita dal centro dell'immagine.

Questa porzione della Via Lattea è stata un luogo preferito per la precedente selezione di immagini da WISE. Alcune delle immagini presenti nella regione sono: la Nebulosa Wizard, un bocciolo di rosa Cosmica, le nebulose Heart & Soul, la nebulosa Pacman, il resto di supernova di Tycho, e il fotogramma finale osservato da WISE.

I colori utilizzati in questa immagine rappresentano specifiche lunghezze d'onda della luce infrarossa. Il blu e il ciano (blu-verde) rappresentano la luce emessa a lunghezze d'onda di 3,4 e 4,6 micron, che è prevalente dalle stelle. Il verde e il rosso rappresentano la luce dai 12 ai 22 micron, che è principalmente emessa dalla polvere.

Questa immagine è un mosaico di migliaia di singoli fotogrammi da WISE, combinati in 442 piastrelle ad incastro per ottenere la scena finale. Ciò è stato fatto per ciascuno delle quattro lunghezze d'onda diWISE, per un totale di quasi 30 miliardi di pixel.

Traduzione a cura di Arthur McPaul

Fonte:
http://wise.ssl.berkeley.edu/gallery_fireworks.html

Un Anello Dentro Al Disco




V1052 Cen è una giovane stella della costellazione del Centauro: si trova a 700 anni luce da noi ed è circondata da un disco di gas e polveri destinato a trasformarsi in un sistema planetario. A giudicare dalle apparenze sembra un caso abbastanza comune, ma andando ad analizzare la struttura e la composizione del disco emerge qualcosa che non era mai stato osservato prima. “È la presenza di monossido di carbonio (CO) che invece di essere sparpagliato su tutto il disco, come succede in altri casi, è confinato in un anello sottilissimo, come una corda” spiega Fiorella Castelli, dell’INAF – Osservatorio Astronomico di Trieste, fra i ricercatori del gruppo internazionale che ha effettuato la scoperta utilizzando il Very Large Telescope dell’ESO.

L’anello di monossido di carbonio dista dalla propria stella tanto quanto la Terra dista dal Sole. Perché lì e non altrove? E, soprattutto, perché forma un cerchio concentrato, anziché essere distribuito in maniera uniforme su tutto il disco?
“È una distribuzione insolita che solleva non pochi interrogativi” continua Castelli. “La sua presenza potrebbe essere legata al campo magnetico della stella, uno dei più intensi mai registrati”. Si tratta di un’ipotesi che, tuttavia, non esclude altre possibili spiegazioni. Il caso, quindi, resta aperto con la prospettiva di ulteriori osservazioni.
Stella, campo magnetico e disco protoplanetario: lo studio dei legami e delle interazioni reciproche è di importanza cruciale per comprendere i meccanismi che portano alla formazione dei pianeti. Allo stato attuale delle nostre conoscenze, quello di V1052 Cen è un caso unico che aveva attirato l’attenzione dei ricercatori fin dal 2008.
La scoperta dell’anello di CO è stata effettuata utilizzando uno strumento specifico del VLT: CRIRES, uno spettrografo sensibile agli infrarossi specializzato nello studio dei sistemi planetari in formazione.

A cura di Elena Lazzaretto

Fonte:
http://www.media.inaf.it/2012/01/24/quell’anello-dentro-a-un-disco/

M67: I Fratelli Del Sole




Essenzialmente tutte le stelle nascono in ammassi, e il Sole non dovrebbe essere una eccezione. L’ipotesi più probabile infatti, è che la nostra stella abbia fatto parte di un ammasso stellare per poi esserne stata espulsa. Tra tutti gli ammassi noti, l’unico compatibile con il nostro sole per età, composizione chimica e distanza dal centro Galattico, è l’ammasso M67.

I risultati di un nuovo studio, tuttavia, sembrano escludere in via definitiva un’origine comune per il Sole ed M67. L’articolo è in pubblicazione sull’Astronomical Journal, e ha coinvolto Giampaolo Piotto e Andrea Bellini del dipartimento di Astronomia dell’Università di Padova, e Luigi Bedin dell’ INAF. Lo studio si basa sulle misure dei moti propri delle stelle di M67 ottenute grazie alle caratteristiche uniche di LBT, il Large Binocular Telescope in Arizona, di cui INAF è socio costruttore.

“Da queste misure siamo stati in grado di calcolare le orbite seguite da M67 e quelle del Sole, per verificare se si sono mai incontrate nel passato” ci spiega Andrea Bellini. “E’ così emerso che il Sole è passato vicino a M67 ma a velocità tali da escludere che ne possa essere stato espulso e tantomeno che ne abbia mai fatto parte”. Non solo: viene anche escluso che Sole e l’ammasso M67 si siano formati dalla stessa nube molecolare.

Ma se M67 non è più il candidato favorito, su quale ammasso stellare conviene puntare? Per Bedin -forse- su nessuno, perché “l’ammasso nel quale si è formato il Sole probabilmente si è già disgregato da tempo per effetto delle forze mareali presenti sul piano della Galassia”.

A cura di Luca Nobili

Fonte:
http://www.media.inaf.it/2012/01/19/lammasso-che-ospito-il-sole/

martedì 24 gennaio 2012

Le Dune di Titano




Titano come Arrakis, il pianeta di Dune, capolavoro di fantascienza di Frank Herbert. Ma anche Titano come la Terra, considerata l’incredibile somiglianza fra le dune sabbiose della grande luna di Saturno e quelle presenti nei deserti della Namibia o dell’Arabia Saudita. Una somiglianza che non va però molto oltre la forma. Le dune di Titano, che coprono circa il 13% della superficie della luna e si estendono per oltre 10 milioni di chilometri quadrati (un’area che corrisponde più o meno a quella del Canada), sono infatti molto più grandi di quelle terrestri: larghe uno o due chilometri, lunghe centinaia di chilometri e alte attorno ai 100 metri. Diverso è anche il materiale che le compone: non silicati, bensì idrocarburi solidi, che precipitando dall’atmosfera si aggregano, seguendo un processo non ancora compreso dagli scienziati, in granelli di dimensioni millimetriche. E diverse lo sono pure tra loro, influenzate a quanto pare dall’ambiente in cui sorgono.

Grazie ai dati del radar a bordo della sonda NASA-ESA-ASI Cassini, un team di ricercatori guidato da Alice Le Gall, del Laboratoire Atmosphères, Milieux, Observations Spatiales (LATMOS-UVSQ) di Parigi e del Jet Propulsion Laboratory della NASA, ha infatti scoperto che la dimensione delle dune di Titano dipende da almeno due fattori geografici: l’altitudine e la latitudine.

Partiamo dall’altitudine. Le principali distese di dune si trovano per lo più in basso, nelle zone di pianura. Le dune ad alta quota tendono a essere più strette, maggiormente distanti l’una dall’altra e con una copertura sabbiosa più sottile, come se ad altitudini elevate ci fosse meno sabbia rispetto a quella disponibile in pianura. Quanto alla latitudine, su Titano le dune sono confinate alla fascia equatoriale, fra i 30° sud e i 30° nord. Con un’asimmetria: nell’emisfero settentrionale tendono a essere, come ad alta quota, più strette e maggiormente distanti l’una dall’altra rispetto a quanto non accada alle latitudini più a sud.

Un’asimmetria, quest’ultima, che gli scienziati attribuiscono all’ellitticità dell’orbita di Saturno. Le stagioni, su Titano, dipendono dall’orbita percorsa da Saturno attorno al Sole. Poiché questa impiega circa 30 anni terrestri, la durata media di una stagione, su Titano, è di 7 anni abbondanti. A causa della leggera ellitticità dell’orbita di Saturno, però, non tutte le stagioni sono uguali: nell’emisfero sud di Titano, per esempio, le estati sono più brevi e più intense. Questo comporta che, nelle regioni meridionali, l’umidità che si registra in superficie – dovuta alla presenza nel terreno di vapori d’etano e metano – sia inferiore. E i grani di sabbia, essendo più asciutti, sono anche più soggetti a essere trasportati dal vento, formando così le dune con maggiore facilità.

Lo strumento di Cassini protagonista di questa scoperta, il radar multimodo, è stato sviluppato grazie a una collaborazione fra il Jet Propulsion Laboratory della NASA e l’ASI, l’Agenzia Spaziale Italiana.

A cura di Redazione Media INAF

Foto in Alto:
A sinistra, Belet e Fensal, due diverse distese di dune su Titano, fotografate dal radar a bordo di Cassini. A destra, due distese simili presenti sulla Terra, a Rub' al-Khali, in Arabia Saudita. La regione di Fensal si trova a latitudini e altitudini maggiori rispetto a Belet, e si può notare chiaramente come le dune siano più sottili e intervallate da zone più ampie e luminose. Crediti: NASA/JPL–Caltech/ASI/ESA, USGS/ESA

Fonte:
http://www.media.inaf.it/2012/01/23/il-doppio-volto-delle-dune-di-titano/

Voyager 1 fino al 2025




La sonda Voyager dovrà fare a meno del suo riscaldamento. È quanto hanno deciso i manager della missione Voyager 1 che ha oltrepassato il nostro sistema solare. Alla sonda è stato spento il riscaldatore, il che ha fatto calare la sua temperatura di 23 gradi e ora gli strumenti stanno lavorando a -79 gradi centigradi, la temperatura più bassa con cui la sonda abbia dovuto fare i conti.

Questo accorgimento però permetterà alla Voyager 1 di poter continuare a trasmettere dati per altri 13 anni, fino al 2025 e, con un po’ di fortuna, di regalarci qualche sorpresa. Al momento lo spettrometro continua a raccogliere e inviare dati. Ideato per lavorare ad una temperatura di -35 gradi Celsius, questo strumento ha dimostrato, nel corso di questi ultimi diciassette anni, di essere in grado di lavorare anche a temperature decisamente più basse. Dal 2005 è operativa a -59° centigradi.

È una scommessa quella fatta dagli ingegneri ma lo strumento sembra reagire bene operativamente dopo che tale decisione è stata assunta nello scorso dicembre. Si potrebbe anche ipotizzare che in realtà lo spettrometro stia operando a temperature più basse di -79° Celsius, visto che il rilevatore di temperatura non misura più in basso.

Gli scienziati e manager della missione continuano a monitorare lo spettrometro, il cui ruolo è stato particolarmente significativo durante gli incontri con Giove e Saturno e iu cui dati, da allora, sono analizzati da un team internazionale di scienziati in Francia.

Quest’ultimo apparato di riscaldamento arrestato faceva parte in relatà dello spettrometro nel vicino infrarosso, non più attivo dal 1998.

A cura di Redazione Media INAF

Fonte:
http://www.media.inaf.it/2012/01/20/niente-stufa-per-il-voyager/

mercoledì 18 gennaio 2012

Scoperta Binaria A Raggi Gamma




Fermi ha trovato una nuova sorgente binaria. Fin qui nulla di strano, tranne che, per la prima volta, una sorgente binaria è stata trovata grazie ai raggi gamma. È quanto annuncia il settimanale scientifico Science.

Fino ad ora Fermi aveva rivelato emissione gamma da mezza dozzina di sistemi binari, formati da una stella “normale” e da un oggetto compatto, stella di neutroni o buco nero. Sono tutte sorgenti ben note, studiate da anni nel radio, nell’ottico e nei raggi X, dove l’oggetto compatto fornisce le particelle accelerate che interagiscono con la materia della stella compagna per produrre raggi gamma di alta energia.

Mentre per tutte queste sorgenti la rivelazione di raggi gamma è stata una aggiunta interessante per 1FGL J1018.6-5856 (questo il “nome” della coppia), invece, è stata la chiave di volta della scoperta.

“Nel panorama delle 1800 sorgenti del catalogo Fermi, i sistemi binari si potevano contare sulla punta delle dita di una mano”, dice Patrizia Caraveo, responsabile INAF del satellite Fermi (la missione della NASA ha una forte partecipazione italiana, oltre INAF sono coinvolti INFN e ASI). “Sono pochi, e tutti molto interessanti: due (LSI 61°303, con periodo di 26 giorni, e LS 5039, con periodo di 4 giorni), formati da una stella di neutroni e da una stella giovane e brillante, sono sempre visibili nei dati gamma, anche se alternano periodi di maggiore attività con periodi più calmi, in corrispondenza delle diverse fasi orbitali.

Sono classificati come micro quasar perché hanno anche una emissione radio variabile. Il terzo sistema sempre visibile è Eta Carinae, una binaria storica di lungo periodo. Poi ci sono le sorgenti che sono visibili solo per brevi intervalli di tempo come la Nova V409 Cygni, il sistema binario formato dal pulsar radio PSRB1259-63 che orbita intorno ad una stella giovane e massiva con un periodo di 3,4 anni, oppure Cyg X3, un sistema con periodo di 4,8 ore dove si sospetta la presenza di un buco nero di massa stellare, che presenta episodi di emissione molto intensa ma molto limitata nel tempo”.

Si tratta di una delle più brillanti tra le sorgenti non identificate e la sua binarietà è stata scoperta proprio grazie all’emissione gamma, modulata con un periodo di 16 giorni e mezzo. Conferma della periodicità si è avuta grazie a ripetute osservazioni con il telescopio X a bordo della missione SWIFT (altra missione NASA con medesima forte partecipazione Italiana) che dedica parte del suo tempo di osservazione alla mappatura sistematica delle sorgenti gamma scoperte da Fermi.

“Ognuna delle sorgenti binarie con emissione gamma è particolare e ogni aggiunta alla famiglia è benvenuta”, aggiunge Patrizia Caraveo che conclude: “È un bellissimo esempio della sinergia tra le missioni Fermi e SWIFT, due pietre miliari dell’astrofisica delle alte energie, alle quali l’Italia partecipa da protagonista”.

A cura di Media INAF

Foto di apertura:
Immagine X (a sinistra) ed ottica (a destra) della regione di incertezza delle sorgente 1FGLJ1018.6-5856. Passando dal primo al secondo catalogo Fermi la “migliore” posizione della sorgente gamma si è spostata e la regione di incertezza è leggermente diminuita. La brillante controparte X, al bordo rispetto alle coordinate 1FGL, ora cade in pieno nella nuova regione di incertezza associata alla migliore posizione

Fonte:
http://www.media.inaf.it/2012/01/12/fermi-rileva-binaria-con-i-raggi-gamma/

Presto Le Prime Immagini Di Un Buco Nero




“Nessuno ha mai ottenuto un’immagine di un buco nero. Noi stiamo per farlo”.

La promessa di Dimitrios Psaltis, professore associato di astrofisica alla University of Arizona, è di quelle che lasciano il segno. I buchi neri infatti non sono proprio il migliore soggetto astronomico da immortalare, anzi. Il loro campo di attrazione gravitazionale così intenso cattura tutto quello che si trova nelle loro vicinanze: polvere, gas, persino la luce. Dunque quella di fotografare un buco nero sembrerebbe un’impresa, o meglio una scommessa, persa in partenza. Ma Psaltis e altri ricercatori che insieme a lui fanno parte del progetto Event Horizon Telescope sono davvero convinti che riusciranno a raggiungere questo risultato. Così hanno organizzato una conferenza che si apre oggi a Tucson per presentare il loro piano d’azione alla comunità scientifica internazionale.

Primo obiettivo nella lista dei buchi neri da riprendere sarà quello, di massa almeno pari a quattro milioni di volte quella del Sole, che alberga nel cuore della Via Lattea, la nostra galassia, e del quale finora conosciamo la sua presenza solo da indizi indiretti.

Per riuscire nell’impresa, verranno combinate le osservazioni di una cinquantina di radiotelescopi sparsi sulla Terra, così da ottenere riprese equivalenti a quelle che si otterrebbero avendo a disposizione un unico grande strumento dal diametro pari a quello del nostro pianeta: oltre 12.000 chilometri. Tra questi strumenti ci saranno antenne collocate negli Stati Uniti, in Europa, in Giappone e a cui presto si aggiungerà ALMA, l’Atacama Large Millimeter Array dell’ESO che, sulle Ande cilene, sta per iniziare la sua piena fase operativa.

Secondo gli scienziati, questo complesso e articolato lavoro di squadra permetterà di ottenere delle riprese molto dettagliate del buco nero. Non riuscendo ovviamente a ‘vedere’ la sua regione centrale, ma spingendosi fino alla sua immediata periferia, a partire da quella zona di demarcazione nota come l’orizzonte degli eventi, all’interno della quale ogni cosa, materia o radiazione, non può più sfuggire al buco nero. Le riprese sarebbero sufficientemente dettagliate da mostrare il profilo del buco nero.

Certo non così spettacolari come quelle a cui ormai ci hanno abituato i più grandi telescopi sulla Terra e nello spazio – Hubble su tutti – ma attese con grande ansia dagli astrofisici, che grazie ad esse potrebbero compiere importanti passi avanti nella comprensione di questi oggetti celesti così estremi e addirittura testare alcune delle predizioni della Teoria della Relatività Generale di Einstein.

“L’idea su cui stanno lavorando gli astronomi è quella di osservare l’ombra del buco nero, il profilo che esso forma rispetto alla materia circostante prima che questa venga irrimediabilmente attratta dalla sua influenza” commenta Marcello Giroletti, dell’INAF-IRA di Bologna. “Nella rete di radiotelescopi ad alta frequenza che verranno utilizzati ci sarà ALMA, appena entrato in funzione nell’altopiano di Atacama in Cile, a cui partecipa anche INAF.

Proprio l’entrata in funzione di ALMA è fra gli eventi che hanno dato il via a questo progetto che permetterà di visualizzare la materia prima che scompaia, fagocitata per sempre dal buco nero. C’è grande interesse intorno alla conferenza di presentazione del progetto che ha inizio oggi, non solo dal punto di vista scientifico ma anche per la natura internazionale dello strumento che verrà utilizzato. Tra i partecipanti c’è anche il Prof. Gabriele Giovannini, associato INAF”.

A cura di Marco Galliani

Fonte:
http://www.media.inaf.it/2012/01/18/presto-le-prime-immagini-dei-buchi-neri/

giovedì 12 gennaio 2012

Scoperti I Più Piccoli Esopianeti




I due esopianeti Kepler-20e e Kepler-20f hanno mantenuto per neanche un mese il primato di più piccoli mai scoperti. Arriva infatti la notizia che tra i pianeti rintracciati dal satellite Kepler ve ne sono tre ancora più piccoli: due hanno un raggio che è circa tre quarti quello della Terra, mentre il minore ha dimensioni paragonabili a quelle di Marte. Si trovano molto vicini alla loro stella, approssimativamente 100 volte più vicini della distanza Terra-Sole, impiegando meno di due giorni per completare un’orbita. Si ritiene che siano rocciosi, come la Terra, ma la loro temperatura superficiale – stimata tra i 200 e i 500 gradi – rende impossibile l’eventuale presenza di acqua allo stato liquido. La stella madre è una nana rossa catalogata come KOI-961, di diametro pari a un sesto di quello del nostro Sole e localizzata nella Costellazione del Cigno a 120 anni luce dalla Terra.

La scoperta, annunciata ieri al 219° meeting della American Astronomical Society, è stata realizzata da un gruppo di ricerca condotto da astronomi del California Institute of Technology, che ha utilizzato i dati resi pubblici dalla missione Kepler assieme a successive osservazioni di controllo dall’Osservatorio Palomar, vicino San Diego, e dal telescopio Keck in cima al Mauna Kea alle Hawaii.

“Questo è il più piccolo sistema solare trovato finora, ed è piccolo in ogni singolo aspetto”, commenta John Johnson, responsabile delle ricerche all’ Exoplanet Science Institute della NASA. “In realtà, come scala è più simile a Giove e alle sue lune che a ogni altro sistema planetario. La scoperta è un’ulteriore prova della varietà dei sistemi planetari nella nostra galassia.”

Kepler ricerca gli esopianeti tenendo continuamente sotto controllo più di 150.000 stelle, registrando le flebili variazioni di luminosità causate dal transito di un corpo davanti all’astro luminoso. Almeno tre transiti sono necessari per verificare che tale variazione sia causata proprio da un pianeta, così come sono necessarie ulteriori osservazioni di controllo mediante telescopi da Terra. A tutt’oggi, Kepler ha trovato circa 35 pianeti alieni, ma sono stati segnalati ulteriori 2.300 possibili esopianeti, candidati che ora attendono la conferma dagli studi di controllo.

E proprio le osservazioni da Terra hanno rivelato per i tre nuovi pianeti (chiamati KOI-961.01, KOI-961.02 e KOI-961.03) misure decisamente inferiori rispetto a quelle originariamente stimate con i dati di Kepler. Per determinare accuratamente le dimensioni di un pianeta orbitante attorno a una stella occorre conoscere con elevata precisione la grandezza della stella stessa. In questo caso, il gruppo di ricerca ha potuto beneficiare dell’aiuto di un astronomo dilettante, Kevin Apps, che ha suggerito come una fra le stelle più studiate, conosciuta come stella di Barnard, fosse virtualmente identica a KOI-961. Attraverso tecniche di modellizzazione, il gruppo di ricerca è riuscito quindi a determinare quanto dovessero essere grandi i pianeti che avevano provocato, con il loro transito, una diminuzione della luminosità stellare.

Le nane rosse, come KOI-961, sono il tipo di stelle più comune nella Via Lattea. La scoperta di tre pianeti rocciosi attorno ad una di loro suggerisce che la nostra galassia possa addirittura brulicare di simili corpi e che questo tipo di sistemi siano ubiquitari nell’Universo. Una prospettiva esaltante per i cacciatori di esopianeti.

A cura di Stefano Parisini

Fonti:http://www.media.inaf.it/2012/01/12/tre-esopianeti-piccoli/

http://arxiv.org/abs/1201.2189

Un Nuovo Saturno Nel Cielo




Uno dei metodi per individuare i pianeti extrasolari è rilevare il loro passaggio davanti alla propria stella, lungo la nostra linea di vista. Un metodo che ha permesso di trovarne tanti. Ad ogni giro, infatti, provocano un momentaneo abbassamento della luminosità che ci raggiunge e, poiché i pianeti hanno forma sferica, questa diminuzione ha un andamento preciso e riconoscibile.

Ma l’oggetto che ogni 54 giorni passa davanti a una stella simile al Sole, a 420 anni luce da noi, provoca una eclissi diversa dal solito, come se non fosse un comune corpo tondeggiante. Ciò che eclissa 1SWASP J140747.93-394542.6 (questa la sigla che identifica la stella, decisamente difficile da ricordare), sarebbe circondato da un sistema di anelli.

Nel descrivere i risultati ottenuti, che saranno riportati su Astronomical Journal, il responsabile del gruppo che ha effettuato la ricerca, Eric Mamajek del Rochester and Cerro Tololo Inter-American Observatory, ha parlato di “un oggetto poco massivo, circondato da un disco costituito da vari anelli sottili di polveri e frammenti rocciosi”.

Si tratterebbe del primo sistema di anelli individuati intorno a un oggetto di massa non elevata al di fuori del Sistema solare. Resta da saperne di più sull’identità dell’oggetto stesso e per questo sarà determinante stabilirne la massa: se è compresa fra le 13 e le 75 volte quella di Giove, si tratterebbe di una stella che non si è accesa, una nana bruna, se è inferiore potrebbe invece trattarsi di un pianeta, paragonabile a Saturno. Stella mancata o pianeta gigante? Capirlo servirà anche a determinare se intorno a questo oggetto possano orbitare pianeti o lune: fra gli anelli sono infatti presenti degli spazi, delle divisioni, che potrebbero essere dovuti alla presenza di corpi minori, probabilmente ancora in fase di formazione.

I dati che, una volta elaborati, hanno permesso di giungere a queste conclusioni sono stati ottenuti nell’ambito dei programmi SuperWASP (Wide Angle Search for Planets) e All Sky Automated Survey (ASAS) analizzando nello specifico proprio le curve di luce di stelle simili al Sole che appartengono alla cosiddetta associazione Scorpius-Centaurus. Secondo Mamajek, ulteriori osservazioni mirate potrebbero fornire le risposte entro un paio d’anni: sapremo così se abbiamo scoperto un altro Saturno o piuttosto una signora degli anelli.

A cura di Elena Lazzaretto

Fonti:
http://www.media.inaf.it/2012/01/11/qualcosa-che-somiglia-a-saturno/

martedì 10 gennaio 2012

Ecco Il Lato Oscuro Dell.Universo




Per vedere quel che non si vede ci vuole ingegno e molta pazienza.

Ed è proprio con un lavoro certosino che un team internazionale di astrofisici, guidati da Catherine Heymans dell’Università di Edinburgo e Ludovic Van Waerbeke dell’Università della British Columbia, hanno ottenuto una mappa della distribuzione della materia oscura su una porzione di cielo grande come mai era stato possibile in precedenza.

Per realizzare il loro lavoro, presentato oggi al 219° meeting della American Astronomical Society, gli scienziati hanno analizzato le immagini di circa dieci milioni di galassie in quattro differenti regioni di cielo, raccolte dal Canada-France-Hawaii Telescope in un arco di tempo di cinque anni.

Le galassie analizzate si trovano tipicamente a una distanza dalla Terra di circa 6 miliardi di anni luce, quindi la loro luce è stata emessa 6 miliardi di anni fa – quando l’Universo aveva approssimativamente la metà della sua età attuale – per arrivare a essere rilevata dai nostri telescopi dopo un lunghissimo viaggio. Viaggio durante il quale è accaduto qualcosa, alla luce di quelle galassie, che ha catturato l’interesse dei ricercatori: è stata deviata dalla gravità, in particolare dalla gravità dei grossi ammassi di materia oscura che ha incontrato nel suo percorso verso la Terra. Attraverso questo fenomeno, noto come lente gravitazionale, il gruppo di astrofisici ha potuto calcolare dove e in che misura fosse collocata la materia oscura. La mappa che ne risulta rivela una intricata ragnatela cosmica di materia oscura e galassie che si estende in tutte le direzioni per oltre un miliardo di anni luce: un colpo d’occhio sull’Universo invisibile che finora era stato possibile solo attraverso simulazioni al computer.

“E’ veramente affascinante potere ‘vedere’ la materia oscura usando la distorsione spazio-temporale”, dice Van Waerbeke. “Ci fornisce un accesso privilegiato a quella massa misteriosa presente nell’Universo che non può essere osservata altrimenti. Conoscere come la materia oscura sia distribuita è solo il primo passo verso la comprensione della sua natura e di come possa essere ricompresa nelle nostre attuali conoscenze fisiche”.

I risultati raggiunti sono stati possibili grazie a miglioramenti delle tecniche di analisi. Miglioramenti che si stanno applicando per elaborare i dati che iniziano ad arrivare dal VST (VLT Survey Telescope), un telescopio in gran parte italiano recentemente collocato in Cile. L’ambizione dei ricercatori è di mappare, nel corso dei prossimi tre anni, una zona del cielo 10 volte più grande: un altro passo intermedio verso l’obbiettivo finale di svelare il lato oscuro dell’Universo.

A cura di Stefano Parisini


Fonti:
http://www.media.inaf.it/2012/01/09/dark-matter-map/
http://www.cfhtlens.org/






lunedì 9 gennaio 2012

Illuminati: Il Club Di Roma




Continuiamo con la rassegna di altre organizzazioni non governative, che influenzano l'economia mondiale, che sono affiliate all'intelligence degli Illuminati.

Fondato nell'aprile del 1968 dall'imprenditore italiano Aurelio Peccei e dallo scienziato scozzese Alexander King, comprendeva anche premi Nobel, leader politici e intellettuali, fra cui Elisabeth Mann Borgese. Il nome del gruppo nasce dal fatto che la prima riunione si svolse a Roma, presso la sede dell'Accademia dei Lincei alla Farnesina.

Ufficialmente, il Club di Roma è una associazione non governativa, e che ingloba anche economisti, uomini d'affari, attivisti dei diritti civili, alti dirigenti pubblici internazionali e capi di stato di tutti e cinque i continenti.

La sua missione, secondo lo statuto è studiare il fenomeno della globalizzazione con tutti i suoi cambiamenti inflitti sulla società, ricercando soluzioni alternative nei diversi scenari possibili.

Molto noto alle cronache è stato il "Rapporto Meadows", pubblicato dal Club nel 1972, il quale prediceva che la crescita economica non potesse continuare indefinitamente a causa della limitata disponibilità di risorse naturali e petrolio. La grande crisi petrolifera del 1973 portó il documento all'attenzione del grande pubblico, predicendo esattamente quello che accadde e che si sarebbe verificato negli anni a venire. In molti sorse il sospetto che le predizioni erano state fatte dagli stessi uomini che avrebbero poi scatenato la stessa crisi.

Lo stesso Club di Roma predisse anche che dopo l'anno 2000 si sarebbe scatenata una nuova crisi per l'approvvigionamento di materie prime,

Presidente del Club dal 2000 al 2006, è stato il principe giordano El Hassan bin Talal, a cui sono succeduti due coopresidenti: Ashok Khosla, Eberhard von Koerber.

A cura di Arthur McPaul


Fonti:
http://it.m.wikipedia.org/wiki/Club_di_Roma

http://www.clubofrome.org/





sabato 7 gennaio 2012

Illuminati prossimi all'Unione Fiscale europea




Illuminati. Da tempo ne stiamo parlando. Ma chi sono realmente? I membri posti ai più alti vertici della "Commissione Trilaterale" e del "Gruppo di Bildenbeg", sono i maggiori prestanome del Governo Ombra, che sta preparando il New World Order assieme alle altre lobby massoniche degli altri continenti.

La Commissione Trilaterale fu fondata il 23 giugno 1973 dal magnate banchiere David Rockefeller, presidente della Chase Manhattan Bank, e da Henry Kissinger e Zbigniew Brzezinski.

Il Gruppo conta tra le sue fila più di trecento persone, provenienti dall'Europa, dal Giappone e dall'America Settentrionale, e ha la sua sede a New York.

La lista dei membri provenienti da ciascuna delle tre zone geopolitiche (Europa, Giappone e America Settentrionale) è così ripartita:

- Il Nord-America è da 120 membri,
- l'Europa pure da 120 membri (di questi 20 sono tedeschi, 18 italiani, francesi e britannici, 12 spagnoli, mentre i restanti Stati hanno tra 1 e 6 rappresentanti).
- L'area del Pacifico è rappresentata da 117 membri.

Tra i membri italiani si annoverano:

1) Mario Monti, presidente del Consiglio dei ministri italiano nonché senatore a vita e presidente dell'Università Bocconi.

2) John Elkann, presidente di Fiat SpA, Exor e della Giovanni Agnelli e C.

3) Pier Francesco Guarguaglini, presidente di Finmeccanica.

4)Enrico Letta, politico italiano e attuale vicesegretario del Partito Democratico.

5) Carlo Pesenti, consigliere delegato di Italcementi.

6) Luigi Ramponi, ex Comandante Generale della Guardia di Finanza e direttore del SISMI.

7) Gianfelice Rocca, presidente del Gruppo Techint, vicepresidente di Confindustria.

8) Carlo Secchi, economista e politico italiano.

9) Maurizio Sella, presidente del gruppo Banca Sella.

10) Marco Tronchetti Provera, imprenditore e dirigente d'azienda italiano.

Attualmente, il Presidente della Commissione Trilaterale per il gruppo europeo è Mario Monti, il nostro Presidente Del Consiglio.

La "Trilateral", avendo tra i suoi membri le autorità economiche di spicco dell'intera umanità, ha il potere di poter far oscillare tutti i capitali privati investiti in borsa, ha la facoltà di influire con i suoi membri, indirettamente sulle decisioni di politica economica dei singoli stati e Mario Monti ne è un esempio chiarissimo.

La Commissione Trilaterale è una delle più potente lobby massoniche del mondo. Nelle loro riunioni si potrebbe decidere di far arricchire un intero stato o decretarne il fallimento. In questa sede si decidono anche gli attacchi militari ai paesi non allineati.

Il Gruppo Bildenberg si riunisce ufficialmente una volta all’anno in incontri riservati a partire dal 1954 presso l’Hotel de Bilderberg (Oosterbeek, Paesi Bassi), luogo che diede anche il nome all’iniziativa.
In genere, sono invitati dagli Illuminati 150 membri, scelti tra i personaggi di spicco della grande finanza e dell'economia europea e statunitense. Gli incontri durano pochi giorni, a porte chiuse e c'è divieto assoluto per la stampa di avvicinarsi al luogo degli incontri, che è sorvegliato da forze di sicurezza privata e talvolta dalla stessa polizia.

Mario Monti è anche membro del Consiglio direttivo del gruppo Bilderberg e lo sarà per quattro anni, quanto cioè dura il mandato.

Nella lista dei partecipanti italiani compaiono anche l'ex ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, Franco Bernabè (Telecom), John Elkann (FIAT), e Paolo Scaroni (ENI).

Di recente hanno preso parte anche, tra gli altri, il presidente della UE, Barroso e Van Rompuy). In veste di presidente dell'Universitá Bocconi, Monti aveva partecipato agli incontri del gruppo Bilderberg anche nel 2010 e nel 2009.

Cosa sta realmente accadendo?
I grandi magnati dell'economia mondiale stanno combattendo una battaglia senza eguali, che se fosse combattuta sul campo, potrebbe essere anche definita "Terza guerra mondiale". L'Europa, in seno alla Trilaterale appare debole di fronte ai due blocchi contrapposti, quello americano e quello asiatico, che è attualmente la locomotiva mondiale della produzione industriale.

L'Europa sta "semplicemente" correndo ai ripari, per non dover soccombore nella giostra dei mercati finanziari e perdere potere quando il New World Order uscirà allo scoperto. La produzione europea appare infatti senza traino e senza alcuna spinta, legata all'approvvigionamento di materie prime dai paesi fornitori che a loro volta giocano a piacimento sui prezzi del greggio. Ma il vero neo da risolvere è uno scarso investimento nella competitività internazionale, dovuto essenzialmente al sud mediterraneo, Italia compresa, che è la zavorra della duttilità dell'intero continente.

Gli Illuminati europei, hanno già deciso di difendersi con quella che viene definita "Unione Fiscale", di cui poco ancora sta trapelando, ma che dovrebbe portare una centralizzazione massiccia delle entrate a Bruxelles, la cui Unione Europa potrebbe poi disporre di mezzi finanziati propri per competere sul mercato globale. Unione fiscale, significherebbe erodere una fetta consistente del PIL dei singoli paesi, privatizzare i servizi pubblici per permettere un abbassamento dei costi ora gravanti sui bilanci statali, riformare il mercato del lavoro, in modo che tutti lavorino a bassissimo salario, spremuti fino all'inverosimile per il minimo necessario alla sussistenza.

Mentre l'Europa cerca di unirsi fortemente per fronteggiare i due avversari: gli USA di un Obama ancora non rassegnato a cedere il posto in novembre ad un repubblicano, sta cercando di avviare le manovre strategiche per attaccare l'Iran, che è un antagonista fastidioso in Medio Oriente. Il vecchio trucco dell'economia di guerra funziona sempre, per una paventata rinascita economica e per mostrare ancora una volta al mondo la potente macchina bellica americana.

Il gruppo asiatico degli Illuminati, invece punta a continuare la produzione su ritmi serrati per far guadagnare terreno alla Cina, che ha deciso ormai di diventare la prima super potenza del pianeta.

In questa guerra, a soccombere è sempre è comunque la povera gente: il dipendente sottopagato di Roma, Madrid e Atene, l'operaio cinese sfruttato nelle anguste fabbriche e il soldato di ventura americano, che da qui a qualche mese verrà sbattuto di nuovo nel deserto in Medio Oriente a ingoiare la polvere del deserto

Per chi non credesse all'esistenza della Commissione Trilaterale, ecco il link:

http://www.trilateral.org/

Qui invece il Bildenberg Group:

http://www.bilderbergmeetings.org/index.php

A cura di Arthur McPaul




venerdì 6 gennaio 2012

Un'astronave Per Viaggiare Tra le Stelle




"L'umanità è avventurosa, ostinata, ha aspirazioni pazze e gloriose per raggiungere le stelle" è lo slogan del Physics World nel mese di gennaio.

Sidney Perkowitz, professore emerito di Fisica presso la Emory University, ad Atlanta, USA. ci parla, nella conferenza degli Studi Per l'astronave dei Centanni Study Starship 100 Anno (100YSS), delle sfide che presentano i viaggi interstellari.

Con la tecnologia di propulsione attuale siamo solo in grado di muoverci con una navicella allo 0,005% della velocità della luce, un viaggio di sola andata per il Sistema Stellare, Alfa Centauri, che impiegherebbe 80 mila anni per percorrere lo spazio fino ai nostri vicini più prossimi stellare .

I delegati alla 100YSS, ex-astronauti, ingegneri, artisti, studenti e scrittori di fantascienza, hanno parlato corca la vasta gamma dei problemi che devono affrontare gli scienziati che vogliono fare della "folle e gloriosa aspirazione" una realtà.

A partire dallo sviluppo di un motore a razzo che può raggiungere velocità elevate, gli esseri umani non sono a corto di iniziativa, ma, come Perkowitz descrive, anche con i motori a fotoni, a vela o a fusione nucleare, siamo ancora lontani dal raggiungere la velocità di luce.

Alcuni modelli teorici attuali interessanti, come ad esempio l'idea di Miguel Alcibierre di contrarre lo spazio-tempo di fronte ad una navicella spaziale ed espandere lo spazio-tempo dietro di essa per creare una bolla, potrebbe spingere l'astronave a qualsiasi velocità senza violare la relatività speciale.

Perkowitz in merito ci spiega che la matematica è impeccabile, ma che il modello richiede una massa negativa, che, al meglio delle nostre conoscenze, non esiste.
Di questo passo, per sviluppare un viaggio intersteare, occorreranno decenni e alcuni stanno ora valutando addirittura di portare il DNA e le altre risorse necessarie per ricreare l'uomo su una nave senza equipaggio.

Perkowitz scrive infine: "Con l'esplorazione del Sistema Solare da parte della NASA e degli altre agenzie siamo a buon punto nella scoperta di centinaia di esopianeti che orbitano intorno a stelle lontane e potrebbe essere il momento per pensare a comd compiere il prossimo grande salto dell'umanità verso nuovi confini nello spazio".

A cura di Arthur McPaul
Fonte:
http://www.sciencedaily.com/releases/2012/01/120104111908.htm




Monti A Bruxelles e Parigi: Vertice Supersegreto Con gli Illuminati?


Il Presidente del Consiglio, Monti si è recato in tutta fretta ieri a Bruxelles e oggi è a Parigi, dove ufficialmente sono previsti gli incontri con il premier francese, Francois Fillon e con il presidente, Nicolas Sarkozy. Cosa è andato realmente a fare?

«Lo sapete, io abito a Roma e Bruxelles...»ha detto Monti ai giornalisti. Ma di certo questo suo viaggio è nato per ricevere innanzitutto direttive sul suo operato, essendo un prestanome per nome e per conto degli Illuminati banchieri.

Chi ha incontrato realmente Monti? Qual è stato il vero scopo del viaggio?

Ecco cosa scrive Il Sole 24 ore in merito:
"Bocche cucite dai portavoce dei vertici europei, ossia del presidente della Commissione Ue, José Manuel Durao Barroso, e del presidente del Consiglio Ue, Herman Van Rompuy. Non si trovavano ieri sera, a Bruxelles, neppure il presidente dell'Eurogruppo Jean-Claude Juncker né il presidente della Bce Mario Draghi.
Quindi, solo incontri informali e riservati organizzati in pochissime ore dall'ambasciatore presso la Ue, Ferdinando Nelli Feroci, capo della delegazione di alti funzionari (gli altri due sono il direttore dell'Integrazione europea della Farnesina Raffaele Trombetta e il direttore degli Affari internazionali del Tesoro Carlo Monticelli) incaricati di mettere a punto gli emendamenti italiani ai nuovi Trattati."


Ieri sera dunque, si deve essere svolto un vertice super segreto con gli emissari del governo ombra Illuminato e il presidente della Ue Barroso e quello della BCE Draghi. Tutto sará avvenuto lontano da microfoni, telecamere e microspie.

La situazione economica e finanziaria va peggiorando. Esiste una guerra in corso, tra due immense potenze che si stanno scontrando, gli Illuminati delle casate anglosassoni e tedesche, e quelle statunitensi. Chi vincerà questa partita conquisterà forse il mondo intero.

La vecchia Europa ormai, sembra tagliata fuori dai grandi traffici internazionali, che si sono spostati nel SudEst asiatico e nella sempre verde america, Stati Uniti e l'emergente Brasile in primis.

Di facciata, si apprende dalla stampa che Monti parlerà oggi con i leader del Governo francese su come gestire questa crisi e soprattutto per quella che si va preannunciando come il vero fine da raggiungere al più presto: l'unione fiscale europea.

Le tasse dei singoli paesi finirebbero a Bruxelles che poi li ridistribuirebbe. Accentrando il potere, il controllo finanziario sui singoli paesi diverrebbe totale e gli Illuminati avrebbero il dominio totale sul Vecchio Continente.
A quel punto il governo ombra uscirà alla luce.

E mentre assistiamo inerti alla disfatta della libertá degli stati sovrani, apprendiamo il continuo incessante crollo delle borse. Ieri 5 gennaio in rosso le principali borse europee con miliardi di euro bruciati nel nulla. Lo Spread tra BTP e i bund tedeschi si è alzato fino a 520 punti. C'è chi sta spingendo le borse al grande crollo, previsto per questa estate, per avere entro l'anno l'accentramento delle tasse direttamente a Bruxelles con la tanto attesa unione fiscale.

E per Monti i viaggi a Bruxelles diventeranno sempre più numerosi. Non è conveniente prendere ordini via telefono, tutti sotto controllo da parte dei servizi segreti. Se qualche magistrato chiedesse i tabulati e le registrazioni verrebbero fuori forse scandali ben più gravi di tangenti e ingaggi di escort.

Troppe cose fanno pensare al peggio. Tagli, tasse, restrizioni sulla liquidità, lavoro scarso e mal retribuito, incubo recessione...
il 2012, anche senza le profezie dei Maya, sembra già portare cattivi presagi.

A cura di Arthur McPaul




giovedì 5 gennaio 2012

Monti: Fase Due, Liberalizzazione E Oppressione Totale




"O sorgiamo come collettivo, o saremo eliminati come individui".

Questo messaggio subliminale appare in una scena del film "Ogni maledetta domenica" per voce di Al Pacino. In una inquadratura appare anche il simbolo esoterico degli Illuminati, la "Piramide con il grande Occhio", a sottolineare in modo ineluttabile, di cosa realmente si sta parlando. E' solo una citazione cinematografica che lascia il tempo che trova, ma è anche l'unica arma sociale che la popolazione ha per ribellarsi alla dittatura fiscale imposta indirettamente dagli Illuminati, tramite i loro sagaci prestanomi.

In questo periodo oscuro della vita sociale, ci stiamo accorgendo come sia faticoso avere denaro liquido a nostra disposizione da spendere. Il denaro è diventato un pó come una droga che quando scarseggia obbliga il tossicodipendente a escogitare ogni stratagemma per procurarsela.

La stragrande maggioranza della popolazione, stanca di lottare, indebitata da mutui e finanziamenti di ogni tipo, con la famiglia da sussistere, non ha altra alternativa che accettare la propria condizione lavorativa anche se pessima e fare ore su ore su straordinari.
Coloro che invece sono molto abbienti, non sentiranno granché la crisi del periodo e se imprenditori rastrelleranno i fondi dai propri dipendenti, aiutati dai saccenti commercialisti, per raggirare le leggi e per continuare a fare i loro viaggi nei paesi tropicali e/o "le cene di pesce" con gli amici del quartierino.

I poveri e il ceto medio-basso sono la classe più colpità dalla crisi in atto, vale a dire quasi tutta la popolazione di paesi europei come l'Italia, la Spagna e Grecia.

Monti in questo disastroso quadro, rasenta la comicità, propugnando la cosiddetta "Fase Due" del suo mandato: avviare le liberalizzazioni e rifirmare il lavoro. Due temi assai delicati della vita sociale italiana, che se modificati, offriranno un ulteriore passo avanti a quella dittatura fiscale voluta dalle lobby del potere bancario.

Questa duplice riforma, prevede, secondo le volontà del Governo, la liberalizzazione del mercato in modo intensivo, partendo dallo Stato.
Dal 9 al 16 gennaio, il ministro del Welfare, Elsa Fornero, incontrerà i sindacati, per valutare le loro proposte, ma in sedi separate.
Monti ha fretta, in quanto gli sono stati dettati tempi ben precisi da coloro che gestiscono nell'ombra questa rivoluzione Illuminata.

Infatti il 23 gennaio, il Premier vorrebbe già presentarsi alla convocazione dell'Eurogruppo di Bruxelles con una riforma pronta.

Il governo sta tuttavia pensando a un intervento “a 360 gradi”. I settori interessati saranno diversi: dalla rivendita di idrocarburi alle poste, dagli ordini professionali ai servizi pubblici locali e alle grandi reti (Snam e Fs). Non mancano i servizi taxi e le parafarmacie. In particolare per le auto pubbliche c’è sempre il forte rischio di un’ondata di proteste, soprattutto a Roma dove sono ben 8mila le licenze, che in caso di liberalizzazione potrebbero diventare il doppio.

Alla revisione delle opere pubbliche sta lavorando il Ministro dello Sviluppo Corrado Passera insieme con il vice Mario Ciaccia: "sburocratizzare" le opere pubbliche e rafforzare il "project financing". Coinvolgimento di capitali privati con l’adozione di nuovi incentivi fiscali e la proroga delle concessioni da 30 a 50 anni. Intanto il Governo intende sbloccare subito alcuni cantieri, in particolare al Sud, con priorità per l’autostrada che colleghi il Molise al Lazio e una possibilità anche per il Ponte sullo Stretto. Il valore complessivo di queste opere si aggira sui 5 miliardi di euro.

Bersaglio cardine della Fase Due è il cosiddetto "mercato del lavoro". L'idea del team di Monti è propugnare un contratto indeterminato con dimissioni in bianco per i primi tre anni di contratto, senza la tutela dell'articolo 18 dei lavoratori, che vieta cioè il licenziamento senza giusta causa. Conoscendo la realtà del lavoro, alle imprese non verrà altro che garantito uno sfruttamento ancor più lungo degli attuali tipici contratti determinati ad un anno. C'è da chiedersi se se Monti vive in Italia o nel paese dei balocchi. Attualmente le imprese sfruttano mandopera con contratti co.co.pro, stage e contratti determinati, utilizzando per i loro subdoli fini la già meschina legge sulla flessibilità redatta a suo tempo da Biagi, ucciso a Bologna dalle "nuove brigate rosse" e approvata dal governo Berlusconi.

Se Monti riuscisse a convincere le parti sociali, con questa rifirma del lavoro, darebbe ai lavoratori ancora più precarietà e illusione di impiego. Le aziende di sicuro sfrutterebbero a ruota libera i dipendenti per il tempo necessario entri i tre anni di contratto per poi assumere nuovi dipendenti, violando il diritto al lavoro stabile dei cittadini e negando loro la possibilità di costruirsi una famiglia e un futuro certo. Tutto questo, non perché c'è la crisi, ma perché l'escalation di questa dittatura fiscale trova campo libero, giustificata da questa stessa (inscenata) crisi.

Gli illuminati allora, avrebbero manodopera ancora più a buon mercato, soggiogando sempre più la popolazione alla precarietà e alla sussistenza.

E' pensare che per sistemare tutto basterebbe che la BCE stampasse più carta moneta e lo Stato togliesse alcune tasse come l'IVA utilizzare in modo corretto gli enormi giacimenti di petrolio in Basilicata, che ci darebbero autonomia e energia per decenni.

Purtroppo ci stanno riducendo alla schiavitù e solo unendoci come collettivo riusciremmo a ribellarci all'oppressione.

A cura di Arthur McPaul